(di Michele Serra – repubblica.it) – L’arrivo del detenuto Forti nel carcere di Verona è approdato sui media con accenti festosi e surreali, con tanto di selfie, apprezzamenti sul cibo, anzi sul food, e visita amichevole, con grandi manate sulle spalle, dell’ennesimo fascistone, un deputato meloniano grande e grosso, dunque sperabilmente un bonaccione. Ottima l’accoglienza del personale. Non è stato reso noto se abbia avuto luogo il tradizionale drink di benvenuto. Perché il detenuto Forti sia stato platealmente adottato da Fratelli d’Italia e dunque dal governo, l’ho già scritto, per me è un mistero insondabile. Non esiste ragion politica, o logica elementare, che possa spiegarlo. Si aggiunge al mistero primario quello collaterale: il rumoroso gaudio cameratesco con il quale la vicenda si sta sviluppando. Siamo pur sempre di fronte a una condanna all’ergastolo per omicidio, al dramma della detenzione — condizione tra le più penose per qualunque essere umano — , a un caso giudiziario delicato, controverso e doloroso. Parlarne con discrezione e riserbo, e gestire il tutto al riparo dalle pacche sulle spalle e dalle foto celebrative con Giorgia, non sarebbe più savio e, se posso permettermi, anche più educato? Pare che i detenuti non dello stesso rango siano rimasti sgradevolmente colpiti. Come biasimarli?

Si paventano i prossimi sviluppi. La partecipazione a un reality? Un libro a quattro mani con l’avvocato Taormina? Un sottosegretariato? Una ospitata a Sanremo, ora che il festival è stato infine liberato dal giogo comunista, così tipicamente incarnato da Amadeus? Noi siamo qui, in serena attesa. La vicenda è così bizzarra che comincia, quasi, ad appassionarci.