(Tommaso Merlo) – Biden avrebbe potuto fermare il genocidio a Gaza ma al di là di vuote dichiarazioni, non ha concluso nulla e continua a vendere le armi con cui Netanyahu ed i suoi sterminano civili. Uno scandalo per cui Biden e la sua amministrazione stanno già pagando un caro prezzo. Biden biascica e ruzzola tra i comizi ma i sondaggi dicono che probabilmente verrà sconfitto da Trump anche se il palazzinaro finisse dietro alle sbarre col pigiamino arancione. Probabilmente siamo difronte alla sfida presidenziale più deprimente della storia statunitense ma che ha un pregio storico, sta facendo emergere con nitidezza cosa sia la democrazia apparente. Le proteste per il cessate il fuoco e una Palestina finalmente libera, hanno coinvolto le università americane ma non solo, oltre alle manifestazioni oceaniche di massa non si contano gli episodi di politicanti contestati ed additati come criminali di guerra da parte di cittadini furiosi. I sondaggi dicono che la stragrande maggioranza dei democratici e di chi voterebbe Biden, concordano con le proteste pro Palestina e ritengono scandaloso l’ambiguo e debole operato della Casa Bianca. Biden e la sua amministrazione hanno cercato di metterci pezze ma peggiorando il buco. Più che comprensibile. Hanno le mani legate e in molti hanno cominciato a chiedersi che senso abbia il cocciuto ed incondizionato sostegno ad Israele. E di senso non ne ha. Non vi sono ragioni strategiche o economiche o financo ideologiche o morali. Nulla. L’unico motivo è il profondo e radicato potere della lobby pro Israele che opera negli Stati Uniti dal dopoguerra e che riesce a piegare la politica americana ai suoi scopi ed interessi. Tutto qui. Lo stesso Biden ha preso milioni di dollari dalla lobby pro Israele per la sua campagna elettorale e con lui tutti i politici di rilievo di entrambi gli schieramenti. E da decenni. Ma oltre ai soldi, c’è l’effetto gregge che in politica è cruciale. La causa pro Israele è diventata parte del pensiero unico, una sorta di dovere per chiunque voglia appartenere all’establishment che conta. Ci vuole pochissimo per venire accusati di antisemitismo e basta un sospetto per stroncare una carriera politica. Anche perchè le lobby operano nei palazzi ma anche nei media. Una tenaglia. Ma questo vale per la lobby pro Israele come per ogni altra. Si tratta della democrazia apparente in cui non comandano i cittadini, ma le lobby. In cui non contano i voti ma i soldi. Valanghe di soldi per finanziare insulse campagne elettorali per raccattar voti di chi ancora ci casca ed ottenere una parvenza di legittimità, ma poi chiunque vinca le lezioni servirà chi lo ha finanziato, non chi l’ha votato. È storia. Fatti. Nessun complottismo. Gran parte dei politicanti statunitensi prendono ad esempio soldi dalle potentissime lobby delle armi ed è per questo che immense risorse pubbliche vengono spese per riarmarsi alla follia invece che per risolvere i problemi dei poveri cristi. Non è certo un caso che girano ancora armati nonostante le stragi nelle scuole o che passano da una guerra all’altra. Decidono le lobby in base ai loro interessi, non i cittadini. Democrazia apparente che spiega anche la reazione furiosa alla richiesta di arresto di Netanyahu e il duro attacco al Tribunale Internazionale. Pare addirittura che presto il Congresso inviterà Netanyahu a parlare, uno scandalo inaudito, un affronto ai cittadini americani ma anche a tutta la comunità internazionale. Arroganza frutto della paura. Col genocidio l’establishment americano si gioca le elezioni e tutta la falsa narrazione pro Israele, ma non solo. Anche le fondamenta stesse del sistema lobbistico sono a rischio. È sempre più palese che Biden e Trump sono due grottesche facce della stessa medaglia di tolla e la nuova multiculturale società americana ambisce a molto meglio. Già. La complicità della Casa Bianca nel genocidio a Gaza unita ad una avvilente campagna elettorale, potrebbe essere uno di quegli spartiacque in grado di generare un virtuoso cambiamento democratico e non solo a Washington.