(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Il ragazzo fermato dai carabinieri di Roma per guida pericolosa abbassa il finestrino e minaccia: «Voi non sapete a chi sono figlio. Sono il figlio di Antoniozzi, il parlamentare, e vi faccio licenziare». 

 Non lasciamoci distrarre da quel «a chi sono figlio» che rivela un’invidiabile dimestichezza con la sintassi di Checco Zalone. Concentriamoci piuttosto sulla transizione dal classico «lei non sa chi sono io»  al più articolato «lei non sai di chi sono figlio io». Nel caso specifico, il punto debole è che il padre di cui il ragazzo si vanta di essere figlio è sì un parlamentare di Fratelli d’Italia, a sua volta figlio di un ex ministro (parentela di cui non sappiamo se si sia mai vantato da giovane con i carabinieri), però non proprio conosciutissimo dal vasto pubblico, e comunque non al punto da poter essere sbandierato come lasciapassare.

Il padre avrà appreso con giustificato orgoglio che il figlio ha un’elevata considerazione del suo casato. Ma se l’essere imparentati con l’onorevole Antoniozzi autorizza a sentirsi imperatori del mondo, non vorrei trovarmi nei panni di un carabiniere costretto a chiedere la patente a una prozia di Lollobrigida: chissà quali maestosi alberi genealogici si sentirebbe sbattere in faccia a mo’ di avvertimento. Quanto al giovane Antoniozzi, gli va riconosciuto di non aver dato seguito alla minaccia di far licenziare i carabinieri. Si è limitato a prenderli a calci, patteggiando una condanna a otto mesi di reclusione.