Karim Khan e l’illusione del giudizio universale

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – Viviamo in una età inflazionistica: inflazione monetaria, inflazione di idee, inflazione perfino di diritto internazionale, di giurisdizione penale mondiale, di procure planetarie indifferenti alla possibilità pratica di applicare le pene ai colpevoli ma ansiose di riaffermare inflessibili tribunali della Storia. Con pericolose conseguenze pratiche, prolungare gli inferi della guerra e il massacro degli innocenti, opposte alle buone intenzioni dei giudici di edificare a sentenza un mondo perfetto.

Il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan, e la folta schiera di giuristi a cui ha chiesto consulenza consapevole dell’impatto politico della sua decisione di procedere all’incriminazione contemporanea dei vertici israeliani e dei capi di Hamas per «crimini di guerra e contro l’umanità», appartengono a questa schiera. Dopo un ventennio di attività la Corte nata dallo statuto di Roma presenta, purtroppo, un bilancio miserevole: cinque condanne pronunciate, due terzi dei dossier contro i rabbiosi, gli incendiari, i mestieranti della sopraffazione internazionale, che si sono dissolti per insufficienza di prove, tredici imputati allegramente latitanti, una evidente, penosa assenza di strategia giudiziaria dei due predecessori di Karim Khan, Moreno Ocampo e la gambiana Fatou Bensouda. Molto gesticolare inutile, molti incantesimi accusatori vani dunque.

Alla Bensouda si chiese di smentire la constatazione che solo gli africani «cattivi» venivano perseguiti perché erano imputati più comodi rispetto agli intoccabili leader soprattutto occidentali; che passavano giorni politicamente felici sotto gli ombrelloni della Forza e della geopolitica. Tentò di indagare infatti sui crimini americani in Afghanistan. Finì, lei, sulla lista degli imputati ma delle assai più efficaci sanzioni dal governo di Washington. A dimostrazione che ahimè! anche i gallonati democratici rendono omaggio al diritto internazionale ma fino a quando non sfiora con le sue pretese i propri intangibili interessi. Solo alcuni dunque detengono la titolarità del’ “nomos’’, della legge, con un sovra-diritto e un sotto-diritto che si specchiavano sconciamente.

Quando venne nominato nel 2021 questo avvocato britannico di origini pachistane, pioniere della Giustizia internazionale con nel curriculum tutte le vergogne messianico-terroristiche del mondo dal 1992, Ruanda, Khmer rossi cambogiani, Liberia, Isis, si chiedeva di far uscire la Corte dalla impotenza. La sua nomina fu preceduta, non a caso, da tre sconfitte brucianti della Giustizia universale, l’assoluzione dell ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo, del congolese Bemba e del keniano Uhuro Kenyatta. Karim Khan, subito alle prese non con vecchi dossier ma con le nuove guerre del terzo millennio, Ucraina e Gaza, non vuole tradire le attese. La sua linea è chiara: la giustizia internazionale non è un fenomeno storico concreto, collocabile in un tempo e in uno spazio, ma qualcosa di illuministicamente assoluto che esiste in un al di là della storia millenaria e quotidiana, sporca e contraddittoria, paralizzata da rumori e furori. Ha come scopo cambiare il mondo, raddrizzare i torti e le brutture che la politica degli Stati moltiplica e distribuisce. Insomma deve correggere la Storia. L’arbitrio e l’ingiustizia, il sopruso degli oppressori, purtroppo, assediano la condizione umana in mille luoghi e il’ “mai più! ’’pronunciato di fronte ai massacri è spesso sermone derisorio dei quelli che Khan definisce non vittime ma «sopravvissuti». Si immagina di poter chiudere la parentesi del tutto è permesso a chi è forte. All’Aia dovrebbe dunque sorgere una sorta di tribunale mondiale della Storia a cui si chiede di sostituire con le sentenze il sistema che regola il commercio tra gli Stati e le nazioni, ovvero la forza ma anche la diplomazia. In questa sfida Karim Khan, come gli illuministi accorti propagandisti dell’idea di Progresso, dimostra una notevole abilità nel servirsi dei media, concedendosi alla Cnn prima che alla Corte per annunciare la sua decisione, o rivelando di aver ricevuto sollecitazioni a occuparsi solo di squallidi dittatori nemici dell’occidente e non di leader fedelmente arruolati nelle alleanze corrette. La considerazione che una parte dei possibili imputati non riconosca la giurisdizione della Corte, dagli Stati Uniti alla Russia all’India alla Cina e a Israele, e che quindi le imputazioni e le sentenze abbiano una enorme rilevanza politica ma non conseguenze concrete, non sembra avere importanza.

Quel che conta è affermare l’obbligatorietà della azione penale mondiale che affidi ai giudici di stabilire nella Storia ciò che giusto e ciò che ingiusto. Per dirla con gli illuministi “ecrasez l’infame’’. Funziona? Forse bisogna domandarsi se questa super giustizia indifferente e insofferente alla lezione della realtà, questi brandelli di diritto internazionale, non provochino in realtà guai, non richiedano un “io dubito’’. Ad esempio la richiesta di Karim Khan non cementifica forse attorno all’imputato Netanyahu un consenso che vacillava vistosamente, rendendo il completamento della micidiale operazione Rafah scontata? O nel caso della guerra tra Russia e Ucraina emettendo mandati di cattura contro Putin e oligarchi non hanno reso preventivamente impossibile qualsiasi negoziato per un cessate il fuoco, visto che solo con questi colpevoli di crimini di guerra si potrebbe discuterlo? Bisogna rispondere a una constatazione: l’abisso tra quelli che Habernas chiamava «i fatti e le norme» si è allargato pericolosamente man mano che gli avvocati internazionali come Karim Khan estendono la loro sfera di competenza e istituiscono nuovi regimi giuridici. Questi sforzi sono giusti. Ma non ci sarà alcuna’“giuridicizzazione’’del mondo per il semplice fatto che non esiste, oggi meno che in passato, una comunità internazionale in grado di appoggiare questa trasformazione.