L’estetica a destra, Schlein e Ceccardi

(FLAVIA PERINA – lastampa.it) – Fa una certa impressione vedere la destra, la destra che ha portato la prima donna a Palazzo Chigi e molte altre prime donne ovunque, usare contro le avversarie il bias della scarsa avvenenza che fu specialità del Cavaliere Settebellezze. Più bella che intelligente diceva lui (a Rosy Bindi) e l’eco era Roberto Calderoli contro Cecilia Kyenge orango (finì pure a processo), Matteo Salvini con il doppiosenso sugli orali di Lucia Azzolina, Daniele Capezzone sul vestito del giuramento di Teresa Bellanova (Halloween? Carnevale? ). Sì, pensavamo fosse finita. No, ci sbagliavamo, continua.

Il post di Luigi Rispoli, importante dirigente napoletano di FdI, che mette a paragone un primo piano di Elly Schlein con il ritratto della donna di Neanderthal – in pratica una scimmiona – magari è colpa di un social media manager distratto o superficiale. I foto-paragoni in cui Susanna Ceccardi confronta la sua avvenenza a colori con lo spettinato bianco e nero di Ilaria Salis (” O lei o me” recita lo slogan) forse sono solo uno scivolone d’esordio. Ma è netta la sensazione che ci sia di più. Che queste Europee segnino il revival di una linea polemica pre-meloniana: a sinistra tutte brutte, a sinistra tutte streghe, a destra invece «tutte carine e anche brave in Parlamento» (sempre lui, il Cav.) .

Si vorrebbe avvisare la premier. Metta un freno. Almeno su questo imponga la regola del politically correct: vietato fare campagna dicendo «guarda quella che cesso». Anche lei è passata sotto questo tipo di forche caudine, e all’epoca fu un caso di prima grandezza. Resta memorabile la sua risposta ad Asia Argento che aveva postato la foto delle «spalle lardose» della futura Presidente fotografate di nascosto al ristorante: io non uso cocaina per dimagrire. Nell’occasione Meloni invitò le donne, tutte le donne, a «non prendersela se qualche poveretta fa dell’ironia sulla loro forma fisica». Il monito, ora che può piombare dall’alto come un fulmine, andrebbe ripetuto al contrario: fatela finita di attaccare le avversarie con il codice estetico, non si addice ai tempi nuovi, a me, a una maggioranza guidata da una donna.

Meloni all’epoca rivendicò il sovrappeso dovuto alla gravidanza, di cui era orgogliosa. La sua risposta ad Argento seguì, forse inconsapevolmente, un copione d’altri tempi, quello delle femministe anziché replicare in contraddittorio a chi le definiva orrende adottarono l’immagine delle sciattone, la interpretarono come atto rivoluzionario, indossarono zoccoli e gonnelloni, rubarono i maglioni oversize dei nonni e si fecero streghe anche esteticamente.

Oggi nessuno ha più questo coraggio. La politica ha sposato le regole dell’appeal televisivo e magari la cocaina no ma le punturine, il miracoloso farmaco danese per il dimagrimento, la palestra obbligatoria alle sei risultano dirimenti come lo studio dei disegni di legge.

Non ci sono più in politica né bruttissime né trascuratissime. E tuttavia in larghi pezzi della destra la subcultura dell’insulto estetico è rimasta. Lo si è capito (anche) leggendo il manuale dell’omo vero prodotto dal generale Roberto Vannacci nel capitolo dove riporta all’attenzione la figura delle moderne fattucchiere, quelle che «solo il lavoro ed il guadagno possono liberare le fanciulle dal padre padrone e dal marito che le schiavizza condannandole ad una sottomessa, antiquata, involuta ed esecrabile vita domestica»: in pratica qualunque donna abbia un suo conto in banca e lo difenda. L’uso della parola «fattucchiera» è rivelatore. Riporta a ogni megera delle favole che ci ha spaventato da piccoli. È lo spauracchio di Grimilde, la cattivissima di Biancaneve, una vecchia con un enorme porro sul naso affacciata su un pentolone nauseabondo. Morale: le carine, le giovani, le non-puzzolenti, vanno cercate lontano da chi parla di emancipazione e progressismo.

Rispoli e Ceccardi vanno in scia a questa suggestione. Dicono (Rispoli, scusandosi con Schlein) che paragonare una leader di partito a una donna delle caverne poteva risultare «un post simpatico». Giurano (Ceccardi, senza scusarsi con nessuno) che la «grafica comparativa» delle facce è solo un modo per esprimere la distanza di pensiero. Ma dietro a questi giri di parole l’intenzione è chiara: solleticare la misoginia di un pubblico che alla battuta sulla donna-cesso ride sempre, e ride due volte se la signora è pure un’avversaria politica.

Sì, pensavamo che fosse finita, anche per l’avvicendarsi delle generazioni. Le nuove leve al potere, i trenta-quarantenni in corsa per un incarico europeo o per ogni altro pennacchio, non sono la generazione Colpo Grosso, sono – dovrebbero essere – la generazione Atreju, cresciuta con una leader donna che per molto tempo ha fatto il controcanto anche estetico alle perfettissime di scuola berlusconiana. E invece no, quel tipo di egemonia in tutta evidenza resiste. Non è bastata una signora a Palazzo Chigi per rendere evidente che la politica deve cambiare il modo di parlare di donne, di contestare le donne, di contrapporsi alle donne e che le battute sugli oranghi, sul settore menopausa, sulle fattucchiere, risultano un patetico anacronismo. Magari bisognerà scrivere un manuale, impartire un ordine di caserma: molte nemiche molto onore, smettetela di dargli delle cozze.