(di Massimo Gramellini – corriere.it) – La destra non avrà chiuso i conti con il Venticinque Aprile, ma il Ventisei li ha aperti su un argomento che nessuno potrà definire sorpassato o lontano. 

Mi riferisco al vannaccismo, inteso come sistema di valori propugnato dal generale Roberto Vannacci, che la Lega formato Salvini ha candidato alle Europee nella posizione espostissima di capolista. Quel nome – e le idee che si porta dietro su gay, migranti, aborto e non solo – sta fungendo da cartina di tornasole, forse persino al di là delle intenzioni di chi lo ha proposto. Nel senso che ha provocato l’immediata spartizione delle acque tra la destra che si riconosce nel pensiero moderato-conservatore e chi invece preferisce spingersi oltre quella linea, in omaggio a un senso comune che un tempo i più severi avrebbero definito reazionario. 

Il ministro Crosetto aveva già bollato le opinioni politiche di Vannacci come «farneticazioni personali» e adesso ha reagito alla notizia della candidatura con una punta di sarcasmo, definendo la probabile elezione del generale «un bene per l’Esercito», che potrà così alleggerirsi di un personaggio imbarazzante. Anche il governatore leghista Fedriga si è affrettato a precisare che non lo voterà mai.

Non so per l’Esercito, ma di sicuro Vannacci è un bene per la destra, perché la aiuta a fare finalmente chiarezza tra le sue due anime. Se potessi rivolgere una sola domanda a Giorgia Meloni, non le chiederei se è antifascista, ma se è antivannaccista.