(Raffaele Pengue) – Fa caldo, è domenica, una giornata di straordinaria bellezza, per le vie di Guardia Sanframondi è tutto un mormorio, basso, sommesso, un movimento di gente smaniosa entra ed esce dai bar, sosta nelle piazze, nei pressi delle fontane, va su e giù desiderosa di assistere alla settennale ricorrenza. Una terra immobile, come pietrificata nel tempo, si scuote, si mette in movimento, apre una breccia nel proprio isolamento. Semplicemente cerca vita in un paesaggio di rovine. Un luogo nondimeno eletto. Un luogo con un suo senso, un suo sentimento. Un luogo tutto speciale. Un posto in cui tornare. Capannelli di giovani, donne, anziani e bambini sbucano da ogni vicolo; crocchi di gente curiosa si formano qua e là: le porte delle case, i balconi e le finestre si animano. La “Festa”, la processione, i misteri, i costumi, tutto è atteso con un misto di ansia e di speranza. Un legame con il sacro, e insieme, la comunione necessaria tra luogo e persone, l’essere cioè iscritti come presenze entro uno stesso circolo vitale, presenti e agenti nello stesso spazio del paese. Il sole è alto sull’orizzonte e le ombre sono le più corte. L’attenzione ora è concentrata su quelle figure mobili e statiche che animano la “Festa”. Donne, uomini, bambini in costume con lo sguardo fisso al cielo. Una “gara” che non è una semplice prova sulla scena più stupefacente ma è anche una penitenza, un’offerta di fatica e sudore. L’intensità dell’attesa, della preparazione, del superamento della soglia, dell’incontro, della sosta, del cammino, dello spaesamento. E poi, ad un tratto: Eccoli! Eccoli! I Battenti, grida una voce tra la folla accalcata. Ed in un baleno tutti accorrono allo “spettacolo”. Oddio, ma quanti sono! Rumoreggia la gente. Eccoli! Eccoli! I Battenti. Vestiti di bianco. Il volto nascosto. Un crocifisso, l’immagine dell’Assunta e un sughero irto di spille tra le mani, volte al petto. Eccoli! Eccoli! Incolonnati, con andatura compunta, percorrere le vie principali dell’abitato. Sull’acciottolato, sulle scalinate del paese antico, davanti agli usci delle case, lasciano sprizzare il sangue caldo e rosso dal petto, percosso e punto da un sughero aculeato. Eccoli! Eccoli! L’incontro liberatorio con la Madre, e poi, al tramonto, quando l’atto di penitenza è compiuto e l’effetto del buon vino scemato, il rientro a casa.

Eccoli! Eccoli! I Battenti di Guardia Sanframondi. Ecco, i Riti settennali di penitenza in onore dell’Assunta. Niente è virtuale, mediato e mediatizzato. Tutto è reale, raccontano gli abitanti. E non è detto che sia del tutto un male.
“È solo folklore locale intriso di fanatismo”, “un rito cruento, un relitto della barbarie medioevale”, termini ed espressioni quasi borbottati da gente forse tutt’altro che devota. Non è un compito facile quello di chi tenta di “spiegare” i Riti di Guardia a chi non è di Guardia, perché il sangue dei battenti fa ancora paura; e per certe mentalità quel sangue è indifendibile. Chi è intriso di positivismo ateo o anche solo laicista, di chi nega il sovrannaturale, lo spirito religioso, il sacro non potrà mai comprendere una “Festa”, come quella di Guardia. Anche se ormai i Riti sono entrati nel mondo della comunicazione di massa, sono osservati, raccontati, spiegati, comparati, a volte anche troppo sommariamente e con poca onestà scientifica. È impossibile, in poche righe, dare conto della complessità e del significato dei Riti per il popolo di Guardia, del rapporto che la comunità guardiese intrattiene con propria Madre affettuosa, il sangue, il corpo, l’immagine, la morte, la vita, il sacro: la violenza del gesto. Per la loro peculiarità e per certi aspetti particolarmente drammatici, i Riti guardiesi sono spesso oggetto di attenzione, osservazioni, visite e anche luogo privilegiato di una sorta di turismo antropologico o più semplicemente devozionale che meriterebbe di essere indagato. “Ma davvero l’Assunta vuole che ci facciamo male nel rapporto con Lei? Davvero il mio petto deve sanguinare perché io possa dimostrare la mia devozione?” Dimentica, chi fa sua questa asserzione, che quel “male” non lo vuole la Madonna né tantomeno la Chiesa: lo vogliono gli uomini. Lo vogliono i guardiesi, Lo vogliono i Battenti. I Battenti si flagellano per un loro bisogno interiore, non per ordine di un’entità divina.

Non mi dilungo su origini e significato dei Riti Settennali di penitenza di Guardia, per comprendere a fondo la storia e la complessità dei Riti, rimandiamo chi legge all’interessante ed esaustivo libro di Vincenzo Di Crosta “I Riti di Guardia, tra cronaca e storia. Domande e risposte”. Non sono uno studioso di materie antropologiche, la vicenda dei Riti guardiesi è nota, ed è già stata accuratamente studiata. I Riti di Guardia negli ultimi decenni sono stati oggetto di una forte esposizione mediatica, anche a qualche forzatura soprattutto da parte delle istituzioni, e persino alla tentazione di una sua facile e superficiale spettacolarizzazione, a scopi turistici. Non di meno sono considerati oggi vieppiù un residuo di arretratezza meridionale che fa storcere il naso a molti benpensanti, anche in ambito ecclesiale. Non sono stati pochi, infatti, coloro che hanno rispolverato i classici pregiudizi sul paese del Mezzogiorno arretrato, oscurantista, arroccato in una celebrazione di forma identitaria ormai improponibile.

Di sicuro la processione settennale in giro per il paese è il pennino rosso che – come una tappa di un Giro ciclistico d’Italia qualsiasi ripara le buche delle strade – ridà vita a stradine e vicoli deserti, case svuotate dall’emigrazione, luoghi e memorie ormai disabilitate dalla vita contemporanea. Perché è tutto il corpo mistico di Guardia Sanframondi ad essere rianimato, ad essere coinvolto nella celebrazione dei suoi Riti, ogni suo spazio e anfratto, viene coinvolto e ripercorso, letteralmente ri-sacralizzato in ogni sua estensione materiale e simbolica dal percorso che la Processione, la Madonna, i Misteri e il sangue dei Battenti conferma e ripete ogni sette anni.
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