Le misure che sostituiscono il Reddito sono inefficaci e seguono solo la logica dei tagli di spesa. Dalle famiglie disagiate ai 50enni disoccupati di lungo corso: escluse categorie fra le più bisognose

(CHIARA SARACENO – lastampa.it) – L’anno nuovo nel nostro Paese presenta una faccia arcigna per chi si trova in povertà. Nonostante il governo abbia presentato la legge di stabilità come particolarmente attenta a chi si trova in condizione economicamente modesta, per i più poveri ci sono solo peggioramenti. Essendo incapienti, non potranno beneficiare dell’abbassamento delle aliquote fiscali né di alcuno sgravio fiscale. Se madri precariamente occupate, non potranno fruire degli sgravi contributivi, qualsiasi numero di figli abbiano, perché sono destinati solo alle occupate a tempo indeterminato. Se bisognosi di interventi chirurgici o di esami clinici, dovranno accodarsi in lunghe liste di attesa in un sistema sanitario pubblico sempre più in affanno.

In compenso, si vedranno ridotto il sostegno al reddito cui fino a quest’anno avevano o avrebbero avuto diritto. In effetti, la sostituzione del Reddito di cittadinanza con due diverse misure meno generose e per una platea più ridotta è la promessa elettorale più rapidamente mantenuta dal governo Meloni. Il nuovo sistema di sostegno al reddito che dal 1° gennaio sostituisce il Reddito di cittadinanza, mentre non risolve nessuno dei problemi che questo presentava sul fronte dell’attivazione lavorativa e sociale, già dallo scorso agosto lascia scoperte decine di migliaia di persone che non hanno la “fortuna” di essere anziane, disabili o di avere qualche minorenne a carico e perciò sono definite automaticamente come “non vulnerabili” e facilmente occupabili, a prescindere sia dalla domanda di lavoro loro effettivamente accessibile, sia dal grado di vicinanza o lontananza dal mercato del lavoro maturato nel tempo.

Queste persone hanno diritto, a condizioni molto stringenti, solo a 350 euro al mese di sussidio per un massimo di 12 mesi non ripetibili e solo per la durata della frequenza di un corso di formazione. Non tutte, tuttavia, riusciranno ad accedervi. In primo luogo, la soglia Isee al di sotto della quale si ha diritto a questo sussidio è stata drasticamente abbassata da 9360 euro annui a 6000, tagliando fuori anche da questo aiuto individui e famiglie che prima avrebbero avuto diritto al Reddito di cittadinanza.

In secondo luogo, nonostante il dirottamento verso il Sostegno formazione lavoro (Sfl) sia iniziato già ad agosto, i corsi – utili o meno che siano – a tutt’oggi non sono disponibili dappertutto. Ma senza frequenza, per quanto incolpevole, non c’è sussidio. Così come il sussidio cessa una volta terminato il corso, che sia stato utile o meno a trovare una occupazione a condizioni decenti. Più che un incentivo e un aiuto a trovare una occupazione che spesso non c’è adeguata alle, per lo più basse, qualifiche di chi si trova povertà, lo spostamento verso il Sfl di molte persone e famiglie molto povere definite “non vulnerabili” sembra rispondere all’imperativo di ridurre il numero dei beneficiari, a prescindere dal bisogno e dal funzionamento delle politiche attive.

Non stupisce che chi può, e trova assistenti sociali comprensive, cerchi di rientrare in una categoria di vulnerabilità tra quelle elencate in tutta fretta dal ministero del Lavoro in aggiunta a quelle derivanti dalla composizione familiare, per mettere una toppa a una norma che subito si è rivelata non solo crudele, ma in molti caso fuori dalla realtà.

Questa è fatta, ad esempio, di ultracinquantenni disoccupati di lungo periodo, o di genitori a bassissimo reddito con figli maggiorenni a carico perché studenti che cercano di costruirsi un futuro non di povertà. Ma questo ritorno al categorialismo spinto non è solo un ritorno indietro, a un sistema di welfare frammentato e opaco, che, mentre lascia fuori molti, incoraggia piccoli e grandi imbrogli. Sottopone anche chi chiede assistenza all’umiliante trafila di dover dimostrare non solo la propria insufficienza di risorse, ma anche la propria “vulnerabilità aggiuntiva”, sperando in uno sguardo benevolo, ma anche accettandone il potere giudicante e paternalistico.

Le cose vanno solo un poco meglio per chi – appartenendo alle categorie vulnerabili per composizione familiare – dal Reddito di cittadinanza dovrebbe passare all’Adi (Assegno di inclusione). Oltre a trovarsi nella stessa situazione dei percettori di Sfl per quanto riguarda la debolezza o assenza di politiche attive del lavoro, anche tra loro qualcuno rimarrà fuori, pur avendo le caratteristiche famigliari richieste e un Isee al di sotto della soglia di 9360 euro.

L’esclusione degli adulti salvo che nel caso di un genitore di bambino sotto i tre anni, e la ulteriore (rispetto al Rdc) riduzione del valore del coefficiente attribuito ai minorenni, infatti, farà sì che un certo numero di famiglie superi la soglia massima di 6000 euro di reddito equivalente che è uno dei requisiti aggiuntivi all’Isee. Succedeva già con il Rdc che fossero proprio le famiglie con figli minorenni a superare quella soglia, a parità di Isee, stante, appunto, il più basso coefficiente attribuito ai minorenni rispetto ai maggiorenni. Ora il rischio è stato aumentato, in barba a tutta la retorica sul sostegno a chi ha figli. Evidentemente, quelli dei poveri meritano meno considerazione.

A causa dello stesso meccanismo, anche le famiglie che staranno dentro ai parametri riceveranno un sussidio di ammontare inferiore a quanto avrebbero ricevuto con il Rdc, perché sarà calcolato ignorando i componenti adulti non anziani e non disabili della famiglia, salvo che nel caso di genitore di figlio sotto i tre anni. Anche in questo caso, la logica di queste decisioni sembra stare più nella volontà di risparmiare che di fornire un aiuto efficace ed equo.

L’unico miglioramento sta nella riduzione degli anni di residenza necessari per accedere al sostegno, a seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea, e il maggior riconoscimento offerto alle persone con disabilità e alle loro famiglie. Due cose positive, che tuttavia non compensano il peggioramento delle condizioni con cui migliaia di individui e famiglie in povertà affrontano il nuovo anno.