Con la sua sola esistenza, Israele ricorda a noi occidentali quello che non siamo, che non vogliamo o non sappiamo più essere e suscita un’infastidita insofferenza
![L’ostilità nascosta](https://images2.corriereobjects.it/methode_image/2023/11/23/Cultura/Foto%20Cultura%20-%20Trattate/341.0.558050032-kNyG-U3450728368033wuH-656x492@Corriere-Web-Sezioni.jpg?v=20231122221703)
(di Ernesto Galli della Loggia – corriere.it) – Ancora una volta gli ebrei sono soli a vedersela con i loro nemici: possono forse ancora contare sugli Stati Uniti ma certo non su di noi, non sull’Europa. Ho detto gli ebrei, non gli israeliani, perché è impossibile avere dubbi. Infatti sotto le sembianze di un’operazione militare l’attacco di Hamas del 7 ottobre è stato qualcosa di ben diverso: le voci, le azioni, l’esultanza di chi lo ha condotto erano quelle inconfondibili dell’odio antiebraico, della sete di sangue ebreo. Erano le voci e le azioni di un pogrom.
Una «giusta» risposta a quell’attacco, una risposta appropriata — e cioè adeguata all’enormità atroce dell’accaduto ma in grado al tempo stesso di non fare vittime civili, di lasciare intatte le strade e le case di Gaza e chi le abitava — questa risposta fino ad oggi nessuno ha saputo dire quale avrebbe dovuto essere. E soprattutto come sarebbe stato mai possibile eseguirla concretamente: nessuno che io sappia. Eppure non si contano coloro che fin dall’inizio, fin dalle prime ore dell’attacco israeliano a Gaza hanno immediatamente cominciato a denunciarne la natura di «crimine di guerra», addirittura di «genocidio».
Certo, con ogni probabilità l’obiettivo israeliano di distruggere Hamas ad ogni costo, anche a quello di provocare migliaia di vittime civili tra la popolazione di Gaza, era ed è un obiettivo irraggiungibile. Ma quale altro obiettivo poteva prefiggersi chi aveva visto un migliaio e più dei propri concittadini inermi, le proprie donne e bambini, sgozzati, stuprati, sventrati, fatti a pezzi? Quale avrebbe dovuto essere la «giusta» reazione di chi aveva visto oltre duecento di essi rapiti come ostaggi? Prevede qualcosa per una circostanza del genere la Carta delle Nazioni Unite o qualcuna delle sue convenzioni?
Sta di fatto che nell’opinione pubblica europea ormai cresce a vista d’occhio se non l’ostilità perlomeno la dissociazione nei confronti dell’operazione militare israeliana. Si tratta di una reazione che dietro motivi di opportunità diciamo così politico-strategica nasconde in realtà un’antipatia più o meno esplicita per Israele; antipatia che sebbene talora sia pronta a fare tutt’uno con l’antisemitismo latente, è però un’altra cosa, ha una diversa origine.
Sì, Israele è profondamente antipatico a molti in questa parte del mondo. Non è facile sentirlo dire apertamente perché dopo la Shoah tutto quanto riguarda l’ebraismo è oggetto in modo più o meno consapevole di una censura fortissima. Ma la verità è che per ciò che esso è, per come è la sua società, per i valori che lo animano, per i modi della sua gente, Israele suscita in molti qui da noi un sentimento di fastidio, di sordo rigetto. Israele non ci piace. Ma non è la sua diversità in quanto tale che ci dà fastidio (nessuno si fa infastidire dalla diversità, poniamo, dell’Islanda o del Portogallo). Il fatto decisivo è che in questo caso la diversità suscita in noi un sentimento oscuro fatto di nostalgia per una perdita e insieme di un senso di inadeguatezza.
Con la sua sola esistenza, infatti, Israele ricorda a noi occidentali quello che non siamo, che non vogliamo o non sappiamo più essere. Per ragioni se si vuole anche in buona parte indipendenti dalla sua volontà, tuttavia lo Stato ebraico è l’esempio di una società divisa al proprio interno anche in modi asprissimi — ad esempio sulla questione cruciale del ruolo della religione — ma che nei momenti critici sa mettere da parte ogni motivo di frattura e mostrarsi straordinariamente unita e coesa. Dove l’individualismo e i suoi diritti non sono in contraddizione con il sentimento comunitario. È una società che crede in se stessa, nel senso profondo della propria esistenza, della propria storica ragion d’essere, e capace come nessun’altra di instillare questo sentimento nei propri cittadini. Le migliaia di riservisti impegnati nei loro affari ai quattro angoli della terra i quali però nell’ora del pericolo, senza che nessuno li richiami, sentono spontaneamente il dovere di ritornare in 24 ore nella propria patria per difenderla è una circostanza che parla da sola. E che da sola basta a indicare la nostra siderale diversità: giudichino i lettori a vantaggio di chi.
Che lo vogliamo o no, che lo sappiamo o no, per i popoli di cultura cristiana quali noi ancora siamo Israele non è, né può essere un luogo qualsiasi. In forza dell’ovvio spessore simbolico che l’ebraismo ha tuttora per noi esso si pone sempre anche come un termine di confronto e di giudizio. In tutti i sensi: nella insistenza, ad esempio, con cui in tanti guardiamo ai suoi errori, quasi compiacendocene, ma ancora di più nella stupita impressione che suscita in noi il senso della comunità, il senso civico, la disponibilità al sacrificio personale che connotano la sua vita e che si esprimono in modo peculiare nel suo rapporto con la guerra.
La guerra vuol dire moltissime cose, implica un’infinità di aspetti individuali e collettivi che riguardano ambiti dai quali le nostre società segnano da tempo una lontananza abissale. Morire in guerra per noi è diventato ormai inconcepibile. E tuttavia avvertiamo che quella circostanza così drammatica, la guerra, mette in gioco tratti ancestrali dell’identità umana cui è difficile negare un valore elementare quanto si vuole ma pur sempre cruciale: il coraggio, il sentimento di solidarietà con chi sta al nostro fianco, l’abnegazione.
Esiste un luogo vicino e insieme lontanissimo nel quale tutto quanto ho detto finora, la coesione sociale, le virtù civiche, certi valori antichi, hanno ancora corso. Dove ancora è costretto ad esistere un passato che un tempo era anche nostro e la cancellazione del quale siamo abituati a considerare ineluttabile e per molti aspetti perfino un progresso. Israele è quel luogo che con la sua esistenza getta un dubbio inquietante sulla necessità e sul significato di tale progresso. Che cosa si vuole di più per giustificare l’infastidita insofferenza pronta a divenire avversione che proviamo nei suoi confronti?
il gallo ha defecato, ogni singola parola trasuda falsità.
A occhio e croce il bonifico deve essere stato sopra i 10k dollari
"Mi piace"Piace a 4 people
quindi signor GdL, per tutti i pregi che hai elencato, Is3aele ha il diritto di estirpare con la guerra di sterminio un’intera popolazione dalla sua terra di origine. Perchè il popolo di Is3aele è coeso e coraggioso in caso di necessità, mentre noi siamo degli imbelli.
Balle! Il governo di Is3aele non farebbe tutto questo se non avesse l’appoggio incondizionato del Big Boss, il primo per arroganza.
Aveva invece un’occasione imperdibile per ottenere una vittoria contro l’orrore, offrire una via d’uscita ai palestinesi, consegnateci gli autori della strage e noi vi daremo tutti i territori del 48 e la libertà.
"Mi piace"Piace a 4 people
[…] “… Israele non è, né può essere un luogo qualsiasi. In forzacampi profughi dell’ovvio spessore simbolico che l’ebraismo ha tuttora per noi esso si pone sempre anche come un termine di confronto e di giudizio. In tutti i sensi: nella insistenza, ad esempio, con cui in tanti guardiamo ai suoi errori, quasi compiacendocene, ma ancora di più nella stupita impressione che suscita in noi il senso della comunità, il senso civico, la disponibilità al sacrificio personale che connotano la sua vita e che si esprimono in modo peculiare nel suo rapporto con la guerra. “
La domanda viene spontanea: ma quante morti devono ancora esserci tra la popolazione civile, specie infantile, palestinese perché anche il Gallo Loggiato faccia assurgere ANCHE questo popolo al gradino del nostro rispetto per i valori civili e comunitari, e “disponibilità al sacrificio personale” etc. etc., espressi in tanti anni di angherie e soprusi subìti in quella prigione a cielo aperto chiamata Gaza e anche in Cisgiordania?? Un giorno si dirà che in quelle contrade gli israeliani tentarono di eliminare fisicamente (così è scritto nei cinici papiri religiosi/sionisti) tuuutta la popolazione autoctona, non figlia di Davide, e poi, quella non uccisa, deportata nei campi profughi. La Shoah ha un valore simbolico imprescindibile per tutto l’occidente. Nessun valore simbolico per altre popolazioni perseguitate e uccise in massa?? Eppure avevo sentito parlare di valori universali, cioè validi ad ogni latitudine. Non è così: sono validi solo per chi vive nell’occidente. Per vedere altrove, il Gallo Loggiato deve cambiare occhiali o munirsi di cannocchiale!!!
PS
Sublime la rimostranza fatta dallo stesso, che inorridisce di fronte agli slogan anti israeliani, che lui intende antiebraici per potere usarli strumentalmente contro gli stessi manifestanti. Le sue orecchie sono delicatissime anche ad ascoltare qualche iperbole che può scappare di bocca. Come si fa a esprimere in uno slogan tutto un complesso e articolato discorso?? Ci provi lui, se ne è capace, ma senza cadere in contraddizione e nel rispetto di tutti, non soltanto di un popolo (eletto).
"Mi piace"Piace a 5 people
Tanti giri di parole, alcune anche giuste, ma neppure una sull’ indegno sterminio di abitanti di Gaza, le violenze inutili, gli assassinii dei coloni, gli ospedali violati, con qualche Kalashnikov messo lì dai soldati con la stella di Davide per giustificare l’ abominio, le distruzioni gratuite di interi nuclei urbani dell’aviazione. E il famigerato rapporto 10:1 di memoria nazista superato da quel criminale di guerra di Nethanyau con l’altro criminale Gallant. Tutto questo sotto il tappeto per questo gallinaccio starnazzante. Uno scritto di ipocrisia ripugnante che mi indigna come persona e comu uomo che nel 1967 aveva uno striscione sul lunotto che recitava “io sto con Israele” o qualcosa del genere. Da anni, invece, penso che Israele dovrebbe essere condannato come STATO TERRORISTA
"Mi piace"Piace a 4 people
“Israele ricorda a noi occidentali quello che non siamo, che non vogliamo o non sappiamo più essere.”
Tradotto: noi europei non sappiamo più essere conquistadores, colonialisti, ottusi primatisti razzisti e massacratori.
"Mi piace"Piace a 1 persona
“Morire in guerra per noi è diventato ormai inconcepibile.”
Pensa che scemi.
Com’erano belle invece quelle carneficine con montagne di morti. Per non parlare di chi tornava senza un braccio, una gamba, un occhio, i paralizzati totali su una sedia a rotelle.
Che tempi!
Non solo, a questo punto visto l’andazzo mi chiedo: a quando l’elogio dell’atomica e dei gas nervini per stanare Hamas?
Il prossimo articolo? Tra due? Tra tre? Tra dieci?
Io direi non più di dieci.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Dedicato ai moralisti:
"Mi piace""Mi piace"