Le infiltrazioni della Wagner, le reti di spie: la Polonia si sente sempre più in prima linea. Pesano le tragedie del passato e un nazionalismo visto come garanzia di sopravvivenza

Il fantasma del russo invasore spinge Varsavia verso la guerra

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – Le vite di certi uomini sono delle scommesse, e non importa che vengano vinte o perdute, l’importante è che siano state fatte. I polacchi per esempio. Condannati dalla Storia all’eroismo, a vivere nell’estremo. Il nazionalismo ha cattiva letteratura, in molti casi, soprattutto in Europa, a ragione: poiché il continente muore, anche ora che dice di essere unito, di ciò di cui è vissuto, cioè della diversità e molteplicità delle nazioni di cui è composto. I polacchi sono nazionalisti. Ma il loro nazionalismo è solo parzialmente ed episodicamente un movimento della società, un partito politico. È piuttosto uno stato d’animo.

È motivato dal sentimento di aver perduto molto, quasi tutto, di aver sofferto più degli altri. Il discorso sulle perdite e sulla sofferenza coincide con il nazionalismo? In alcuni casi, quando diventa ossessione e si impone nei rapporti con gli altri. Ma quando gli altri sono la Germania e la Russia come non comprendere?

Sullo sfondo tragico della guerra in Ucraina la Polonia si è scelta un ruolo a parte, si distingue: non solo a fianco della Ucraina, come gli altri della Nato, un po’ “teoricamente”, ovvero con armi ospitalità ai profughi cacciati dalle loro case, sostegno politico. Insomma, retrovia. I governanti polacchi fin dall’inizio prevedono come inevitabile e necessaria una guerra più grande, esplicita e sul terreno, per ricacciare indietro il russo eterno invasore, amputargli i rinnovati artigli, farlo regredire almeno per un po’ di tempo a un Ottantanove per quanto possibile permanente. La Polonia sostituisce la Gran Bretagna come punta di lancia americana in Europa, si dichiara pronta a tutto. Dà l’impressione di desiderarla la guerra grande, di prepararla ammassando truppe al confine della colonia bielorussa, costruendo strade e ferrovie strategiche per accelerare la linea logistica, si aprono affollati campi di addestramento. Di fronte agli europei tentennanti, affezionati alla lesina per il capitolo Difesa, il bilancio militare polacco è raddoppiato in un anno, da undici a venti miliardi di dollari. Si comprano caccia artiglieria lanciarazzi perfino nella remota Corea del Sud, dall’America arrivano Abrams elicotteri aerei missili. Ci sono momenti, a Varsavia, in cui la difesa dell’Ucraina sembra diventata poco più che l’occasione offerta dalla grullaggine putiniana per saldare alcuni secoli di conti rimasti in sospeso. Già. In autunno la Polonia andrà alle elezioni. E se la miglior propaganda fosse la guerra? Per questo si urla e farfuglia a Varsavia proponendo azzardosi regolamenti di conti con il terribile vicino? Nasce un mini-imperialismo?

Se svolgi come una pergamena la storia moderna polacca sempre di lì devi partire: dalla scoperta terapeutica della grandiosità del coraggio umano, e da ciò che lo ha generato, le spartizioni. Il glorioso secolo dei Lumi che partorì il Progresso in queste vaste pianure dell’Est è legato ad altre memorie. Gli illuministi chiacchieravano amabilmente con Federico il Grande e Caterina di Russia del Buon Governo mentre Prussia e Russia inghiottivano la Polonia a grandi bocconi. Si unirono al banchetto i parrucconi asburgici tarlati ma con grande appetito di terre e di uomini. I re di cartapesta messi su per stare quieti vivevano di ricordi: quando i cavalieri polacchi con immense ali di piume salvavano generosamente Vienna dall’ultima risacca del jihad turco. Irriconoscenze avidità realpolitk debolezza.

Le città da un giorno all’altro cambiavano nome e lingua e bandiera. E ogni volta bisognava ricominciare la vita da zero e la orgogliosa libertà perduta urlava nelle strade e nelle case.

L’Ottocento condannato, anche lui, a essere eroico e fitto di rivolte senza speranza, soffocate dai cosacchi; e i rivoluzionari polacchi che sciamavano a regalare il loro sangue, inutile in patria, alle rivoluzioni degli altri, in Francia e in Italia. E ancora spartizioni: i due orchi Hitler e Stalin che si dividono come compari soddisfatti dopo il colpo riuscito la Polonia: questo è mio e questo è tuo. E le democrazie Francia e Inghilterra che stanno a guardare, impotenti, camuffate nella vergogna della “guerra stramba” e nell’omertà su quanto nascondevano le feroci selve di Katyn.

È l’orizzonte l’eterno tarlo polacco, l’orizzonte immenso, indefinito come il mare, da cui prima o poi si leveranno nemiche nuvole di polvere, le cavallerie di un tempo, i carri armati di oggi. Non sembri una provocazione: ma è la stessa angoscia che ossessiona i russi, anche loro incatenati a una geografia di spazi immensi, di tentazioni perenni da Est e da Ovest. La pianura che non si lascia dividere, i conquistatori che spostano la frontiera lungo i loro percorsi; quando tornano indietro, talvolta tornano indietro, la frontiera si ritira con loro, ma vengono altri, piantano segni, sanno che il confine è là dove sono loro.

Ma la Russia è senza fine, sfianca gli assalitori con la lima dello spazio e del tempo. La Polonia è breve. Condanna i polacchi anche nel Novecento che per loro non fu certo secolo breve a battersi lontano, a risalire l’Italia con divise straniere per insanguinare le pietre di Montecassino. E alla fine di nuovo tradimenti e eroismo sparso invano.

Russia e Germania: come si fa a non sospettarne in modo eccessivo quando a causa di queste due terribili calamite si è patito in modo eccessivo? Negli anni del “luminoso avvenire” promesso dal potere comunista, chiusi dal filo spinato del sistema, nella pentola polacca l’acqua ancora non bolliva ma poteva succedere da un momento all’altro, bastava che qualcuno sollevasse il coperchio, un Pontefice, un sindacato… Nella fede ci si può immergere come nell’oceano anche se si rischia di perdere i sensi. A Nowa Huta la rivolta si infiammò perché il regime aveva ordinato di smantellare una semplice croce di legno alzata in uno spiazzo.

Ai polacchi i sovietici hanno imposto uno stampo nel pensiero e nel comportamento. E anche quando, primi tra tutti gli schiavi dell’Est, hanno saputo trarsi fuori da quei cenci, come stupirsi se resta la brutta impronta di quella prepotenza e non si riesce a spianare le pieghe dello stampo?