Il “trucco” nel taglio del cuneo fiscale: a pagare un miliardo sui 4 totali sono gli stessi lavoratori (con l’Irpef)

(di Chiara Brusini – ilfattoquotidiano.it) – Altro che il “tesoretto da 4 miliardi” di cui parla Giorgia Meloni nell’ormai famoso video sulle misure varate durante il cdm del Primo Maggio. Le risorse per il taglio del cuneo contributivo a carico dei dipendenti stanziate dal governo (in deficit) si fermano a 2,9 miliardi. Il resto, circa 1,1 miliardi, da dove arriva? Stando all’ultima bozza del decreto Lavoro sono le maggiori imposte che verranno versate dagli stessi lavoratori per effetto della riduzione dei contributi. I contributi infatti sono deducibili e all’aumentare dell’esonero sale la base imponibile su cui si applica l’Irpef. Risultato: stando alle prime simulazioni della Cgil, chi guadagna intorno a 20mila euro lordi l’anno da luglio avrà un beneficio aggiuntivo di circa 59 euro al mese. Sommando i circa 45 euro previsti dal taglio del cuneo già in vigore, si arriva a oltre 100. Ma il beneficio netto si fermerà a una settantina di euro totali. Per chi ha una retribuzione lorda di 15mila euro il vantaggio complessivo si fermerà invece a 62 euro perché quasi 20 se li mangerà il fisco.

A prima vista è una beffa non da poco. Ma il meccanismo non è certo nuovo: funziona sempre così quando invece che “tagliare le tasse” – come la premier rivendica di aver fatto – si agisce sulla parte di cuneo relativa alla contribuzione che va a finanziare la previdenza. Il governo in carica può così annunciare una sforbiciata più corposa rispetto alle risorse che ha effettivamente dovuto trovare per assicurare le coperture. Anche gli 1,8 miliardi destinati durante il governo Draghi alla prima riduzione di 0,8 punti nel 2022 e gli 1,1 miliardi aggiunti con il decreto Aiuti bis per portarla a 2 punti da luglio a dicembre erano il costo complessivo dell’intervento, finanziato però in parte (500 milioni nel primo caso e 350 nel secondo) proprio dalle maggiori entrate tributarie connesse.

Tornando al decreto del Primo maggio, va detto che l’ultima bozza datata 30 aprile stabilisce che il nuovo taglio scatti a luglio e si interrompa a fine novembre, dopo soli cinque mesi. I comunicati di Chigi e del Mef parlano invece di un intervento destinato a proseguire per un altro mese, fino al 31 dicembre. Le coperture sono quindi suscettibili di aggiustamenti al rialzo. Ma le proporzioni sono già chiare: l’articolo 34 del provvedimento, al secondo comma, spiega che a fronte di oneri pari per il 2023 a 4 miliardi complessivi le coperture arriveranno “quanto a 1.156 milioni di euro per l’anno 2023 e a 96 milioni di euro per l’anno 2024″ da “maggiori entrate derivanti dal comma 1“. Cioè quello che incrementa di 4 punti l’esonero contributivo.

Al salire del reddito la distanza tra beneficio lordo e netto è destinata ovviamente ad aumentare complice la maggiore aliquota nominale e l’incremento di quella marginale effettiva, che tiene conto delle detrazioni. Così, come mostrano le tabelle messe a punto dai tecnici della Cgil, a quota 25mila euro di introiti lordi il taglio del 6% lascerà nelle tasche circa 88 euro netti in più a fronte di 134 euro di beneficio lordo (di cui 76 attribuibili all’intervento del Primo maggio). A 35mila euro di reddito lordo la differenza arriverà addirittura a 70 euro. Oltre quella soglia, fa notare il sindacato, lo sgravio si azzera senza décalage. Con il rischio che qualsiasi aumento di stipendio si traduca in una notevole perdita netta per il lavoratore. Del resto lo scopo dichiarato dell’intervento, come si legge nel Def, era quello di “moderare la crescita salariale“.

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9 replies

  1. E meno male che finalmente qualcuno se n’è accorto.
    E in realtà questo è solo uno degli aspetti negativi della genialata chiamata “taglio del cuneo fiscale”.
    Tagliando questo anziché l’Irpef, si crea infatti una doppia ingiustizia:
    – intanto si perpetua l’iniquità, che sembrava alla fine accantonata dalle riforme fiscali passate, per cui c’è chi andrà in pensione ricevendo più di quanto versato; e fossero solo i “poveri”, potrebbe anche starmi bene; ma ovviamente a questi si aggiungeranno evasori e lavoratori (parzialmente) in nero, che in Italia sono (sempre) troppi;
    – i contributi “mancanti” (e oggi versati, come noto, in parte dai datori di lavoro e in parte dai lavoratori, indicativamente per 2/3 e 1/3 rispettivamente) saranno compensati con deficit e/o con la fiscalità generale, vale a dire (ora o in futuro) attingendo da chi paga le tasse; in primis quindi dai lavoratori stessi che beneficiano del taglio (riducendo così l’effetto del taglio, come ben descritto nell’articolo); e poi dai lavoratori con ricchissimi stipendi superiori ai 35K annui, che così provvederanno a pagare, oltre ai propri contributi – che resteranno non “sgravati” -, anche quelli dei beneficiari del taglio (e/o quelli tagliati alle aziende).
    Eppure tutti assieme, chi più e chi meno apertamente, Destra, Sinistra, Centro e Sindacati stappano bottiglie per questo grande successo.

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    • Egregio Lucaswpit, non si illuda con la BALLA COLOSSALE della cosiddetta “riforma Fornero” per cui si riceve di pensione sulla base di quanto versato: l’ottimo Renzi nell’aprile del 2015 ha legiferato per cambiare. Infatti, da quella data è l’INPS che provvede a scegliere: purché il pensionato prenda di meno ( facendo risparmiare l’ ENTE) si applica il metodo retributivo ( vecchio sistema) o il metodo contributivo ( sistema Fornero). Esperienza personale.

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      • Egregio, tranquillo, io non mi illudo di nulla; e consentimi il tu, come di norma usa sui blog internet.
        In realtà la riforma che ha trasformato il calcolo da retributivo a contributivo è la Dini ’95 (salvaguardando chi aveva 18 anni di anzianità contributiva, nel pieno rispetto della consueta logica italica dei diritti – più o meno – acquisiti); e per inciso io sono fortemente danneggiato da quella riforma.
        Tuttavia i suoi sostenitori sostengono che abbia portato a maggiore equità, avendo appunto collegato (sostanzialmente) l’importo pensionistico ai contributi versati, e non più alla retribuzione dell’ultimo periodo lavorativo (usanza che ha comportato, per motivi che non è necessario spiegare, enormi buchi nel sistema, e storture che gridano vendetta – mi riferisco in particolare alle promozioni generalizzate negli ultimi anni lavorativi, concesse a piene mani in certi settori).
        Resta il fatto che nella quasi totalità dei casi il sistema contributivo è meno vantaggioso di quello retributivo, quindi di fatto sì, la riforma è servita proprio a collegare quanto ricevuto a quanto effettivamente versato (naturalmente “in media”; e naturalmente, fino a che il sistema reggerà).

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  2. In Italia, Giorgia Meloni sceglie il primo maggio per tagliare i minimi sociali
    Il governo italiano, dominato dall’estrema destra, ha abolito il “reddito di cittadinanza”, istituito nel 2019, che ha tolto dalla povertà un milione di persone. Un dispositivo più modesto sarà riservato alle famiglie più povere con bambini, anziani o disabili.

    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/05/01/en-italie-giorgia-meloni-choisit-le-1er-mai-pour-rogner-les-minima-sociaux_6171681_3210.html

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  3. Ah, finalmente i siete arrivati.
    Pessimo sistema inaugurato dal più migliore di tutti, che oltretutto semplifica le nostre semplicissime buste paga.

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