(Giuseppe Di Maio) – Non c’è uno che veda nella Meloni e nella Schlein due leader di partito, di cui una con incarico di governo. Tutti vedono solo la loro realtà di donne, l’una contro l’altra armata, come fosse il duello tra Lina Cavalieri e Manolita, una a capo della maggioranza e l’altra dell’opposizione. Parlano del tetto di cristallo che la condizione femminile sta rompendo, dei progressi indubitabili nella disuguaglianza di genere, e magnificano per galanteria le virtù dell’una e dell’altra scordando con facilità che né l’una né l’altra rappresentano al meglio gli interessi degli italiani.

La Schlein si propone come outsider della sinistra quando invece è organica al PD e alle sue correnti. Candidata con successo dalla segreteria Renzi alle Europee del 2014, non appena scade il mandato si candida alle regionali con Bonaccini, e dopo soli due anni viene eletta al Parlamento con la segreteria Letta. Essa ha intercettato con fortuna la vicenda altalenante del PD, rifiutando gli eccessi renziani e pure capace di ripartire a cavallo di una sardina nel momento più buio del partito incalzato dall’onda leghista. Ora ha fatto lo stesso. Il partito del nulla, incapace di parlare alla gente perché non ha niente da dire; il partito che stava perdendo definitivamente la sfida per la supremazia della propria area elettorale, ha pescato un pesce che comincia a dire “cose di sinistra”. Il pesce ha capito che bisognava colmare la distanza tra il PD e il suo elettorato (difatti la strana regola le ha consentito di essere eletta con le cose di sinistra), ma se provassimo a fare un sondaggio tra quelli che l’hanno votata sarebbero pochi quelli che manderebbero armi a Zelens’kyj.

Essa ha qualcosa della Boschi: non il visino, è chiaro. Ma come lei non parla, comizia, come se avesse paura che le cose che dice siano troppo fiacche, volatili. Tuttavia dimostra che la sua è solo un’operazione d’area, giacché per adesso prende voti solo dal M5S, non dall’astensione. A breve si scoprirà che è funzionale alle classi abbienti, ai conservatori, tanto quanto i suoi predecessori, perché il partito conservatore non può essere lasciato nelle mani di Calenda, Renzi e Berlusconi. Il suo è irreversibilmente un partito che può tutelare solo le disuguaglianze di genere e gender, di generazione e territoriali, divari che non intaccano la struttura sociale e l’estorsione del plusvalore. E’ invece la disuguaglianze sociale che attende rimedi, non con i fantasiosi duelli celebrati dalla stampa, ma con interventi come la proposta del salario minimo che alla commissione Lavoro della Camera ha prima firma Giuseppe Conte.