In Lazio e Lombardia la destra si prende tutto. Ma votano solo 4 su 10. Cappotto. Confermato il leghista Fontana, vince il “tecnico” Rocca. Fallisce l’opposizione giallorosa e anche quella centrista. Il centrodestra tiene la Lombardia e si prende il Lazio […]

(DI PAOLA ZANCA – Il Fatto Quotidiano) – Il centrodestra tiene la Lombardia e si prende il Lazio. E il Covid, si può dire, adesso è finito davvero: perché gli elettori di Milano e dintorni hanno riconfermato con il 56 per cento Attilio Fontana, il presidente che ha governato la catastrofica gestione della pandemia in Lombardia, mentre a Roma si è deciso di archiviare l’esperienza del Pd e di Alessio D’Amato, che da assessore alla Sanità nel Lazio aveva gestito con efficienza la pandemia, soprattutto dal punto di vista della campagna vaccinale, preferendogli Francesco Rocca, che ha superato il 50 per cento dei voti. Evidentemente, il capitolo “salute” – ed è indicativo vedere come invece il tema sia già al centro delle faide interne alle nuove maggioranze che dovranno decidere chi far comandare – non è stato un elemento decisivo per i (pochi) elettori che domenica e ieri si sono recati alle urne. Pochi, anzi pochissimi: una media nazionale del 40 per cento che in Lombardia arriva al 41,7 e che nel Lazio segna in assoluto il record negativo della partecipazione degli italiani al voto: 37,2 per cento, mai l’affluenza era stata così bassa. Un dato allarmante, che vede galoppare verso l’alto la curva dell’astensionismo che si è fatto maggioranza bulgara.

E se il centrodestra gioisce, l’opposizione è costretta a decretare il fallimento di entrambe le formule sperimentate. Non funziona la riedizione giallorosa tentata in Lombardia, dove Pierfrancesco Majorino – sostenuto dal Pd e dai Cinque Stelle – si ferma al 33 per cento. E non funziona neanche il centro-centrosinistra proposto nel Lazio: i dem hanno candidato Alessio D’Amato insieme a Renzi e Calenda ma la coalizione non è andata oltre il 35 per cento.

Le due donne sono arrivate terze, e pure male: Letizia Moratti, il volto scelto da Iv e Azione per sfidare Fontana ha raccolto un misero 9,5 per cento; Donatella Bianchi – nome dei 5 Stelle alternativo a D’Amato – un magro 11 per cento, con la lista del Movimento ferma intorno al 9. Falliscono quindi anche le operazioni di svuotamento degli elettorati contigui: i “centristi” che a Milano volevano portare via voti al centrodestra e i “progressisti” che a Roma speravano di competere con i dem. Dice il segretario del Pd (ancora per pochi giorni) Enrico Letta: “Il Pd ottiene un risultato più che significativo, dimostra il suo sforzo coalizionale e respinge la sfida di M5S e Terzo Polo. Il tentativo ripetuto di sostituirci come forza principale dell’opposizione non è riuscito. L’Opa contro il Pd ha fatto male a chi l’ha tentata”. Gli replicano male, sia i renziani (“L’unica Opa contro il Pd l’ha fatta lui alle elezioni – dice Ivan Scalfarotto – Francamente sorprende che ne parli ancora”) che i 5 Stelle (“Sento il redivivo Letta rendere dichiarazioni entusiastiche, avrei poco da festeggiare”, aggiunge Giuseppe Conte). La coperta è cortissima e c’è poco da tirare.

A destra, invece, la spartizione è appena cominciata e vedrà volare stracci per la composizione delle giunte. Attilio Fontana ha già messo le mani avanti: “In questi 5 anni non c’è mai stato un partito che ha imposto il proprio punto di vista e quindi continueremo seguendo questo modo di comportarci”. Si riferisce agli anni in cui la Lega aveva un milione e mezzo di voti e guidava saldamente la coalizione con il 30 per cento dei voti, mentre Fratelli d’Italia galleggiava intorno al 3. Oggi i rapporti di forza sono cambiati. Berlusconi ha dimezzato il suo peso, il partito di Giorgia Meloni è arrivato al 25, ma Salvini ha retto e, con il 17 per cento circa, può tenere testa alle mire dei capataz milanesi di FdI, Ignazio La Russa e Daniela Santanchè.

Diverso il quadro nel Lazio, dove Fratelli d’Italia regna indiscusso sulla coalizione: viaggia intorno al 33 per cento, leghisti e forzisti sono entrambi vicini al 7. Più di qualcosa è cambiato. Peccato che a deciderlo sia un piccolo club di elettori.