Gli italiani hanno perso ogni vitalità. Sono stati superati non solo dai francesi ma addirittura dai parigini che, catafratti nella loro boria, sono simili a quegli aristocratici con una perenne scopa nel culo che per non perdere […]

(DI MASSIMO FINI – Il Fatto Quotidiano) – Gli italiani hanno perso ogni vitalità. Sono stati superati non solo dai francesi ma addirittura dai parigini che, catafratti nella loro boria, sono simili a quegli aristocratici con una perenne scopa nel culo che per non perdere la loro dignitas e sgualcirsi la giacca, come nella canzone di Max Pezzali Sei uno sfigato, si immobilizzano e sembrano incapaci di qualsiasi slancio.
Nel 2018 in Francia c’è stato il movimento spontaneo dei Gilets jaunes che protestavano per l’aumento del costo della vita e il rincaro dei prezzi del carburante; in Italia, nonostante questi problemi siano gli stessi, non abbiamo mosso orecchia. L’allora ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, fu duramente cazziato per essere andato in Francia e aver aderito, almeno simbolicamente, a quel movimento. Adesso i francesi sono scesi in piazza, un milione e 200 mila in tutto il Paese, e 500 mila solo a Parigi, per protestare contro il progetto di Macron di aumentare l’età pensionabile da 62 a 64 anni, al grido di “la pensione prima dell’artrite”. Insomma la pensione quando sei già dre’ a murì. In Italia l’età della pensione è arrivata a 66 anni e sette mesi per gli uomini, meno le donne, odierne vere privilegiate, pur morendo dopo vanno in pensione prima. E la protesta dei sindacati si è limitata a qualche flatus voci.
Ma in Francia, come del resto anche in Italia, c’è un movimento carsico di giovani che reclama il “diritto all’ozio”. Cioè questi ragazzi si sono resi conto che è assurdo entrare nel tritacarne “produci, consuma, crepa” (Cccp) per finire a fare gli “schiavi salariati” (“Una società che ha postulato l’uguaglianza e ha bisogno di ‘schiavi salariati’, è una società che ha perso la testa”, Nietzsche). Un “diritto all’ozio”, o almeno a qualcosa che gli somigli, va dritto in senso contrario all’odierna società dello sviluppo e della crescita. Dice la Treccani, moderna Bibbia insieme a Wikipedia: “Astensione dall’attività, dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo o anche abitualmente, per indole pigra o indolente: stare in ozio, non far niente, trascorrere le ore nell’ozio, poltrire, languire nell’ozio, consumare la vita nell’ozio”. Insomma è il vecchio “ozio, il padre di tutti i vizi” (magari averne). Per i Latini ozio (otium) vuol dire vita contemplativa, dedicata alla riflessione in contrasto col negotium che è l’esistenza rivolta agli affari. Nel Medioevo europeo l’attività rivolta agli affari è spregevole tanto che il nobile perde questa qualifica se si dedica al negotium. E lo stesso vale nella cultura orientale cinese e giapponese, prima che fosse stravolta dal modello di sviluppo occidentale. Nell’antico Giappone il samurai non solo non può avere denaro ma nemmeno pensare in termini di denaro, il pensiero di Lao Tse (Il libro della norma) è per la “non azione”. In Europa, ma in seguito nell’universo mondo, il lavoro diventa un valore qualche decennio dopo l’arrivo del take off cioè della Rivoluzione industriale. E in Italia il primo maggio è la Festa del Lavoro, cioè della nostra schiavitù.
Il dilemma lavoro/ozio si lega al Tempo, il padrone inesorabile delle nostre vite. Ci sono tre Tempi. C’è il Tempo cosmico legato allo spazio sul quale si sono affannati filosofi e fisici, a cominciare da Einstein, senza cavare un ragno dal buco. Il fisico Carlo Rovelli ha dedicato tutta la sua vita al concetto di Tempo ma in uno dei suoi libri più recenti, L’ordine del Tempo, nell’ultimo capitolo ammette che non si può arrivare a una definizione esatta del Tempo. Ma a noi viandanti della Terra in fondo questa concezione quasi metafisica del Tempo interessa poco, vale solo come curiosità intellettuale. C’è il Tempo fisico quello che gradualmente degrada, smonta il nostro fisico, delude le nostre fuggevoli illusioni portando il tutto alla sua inevitabile conclusione. Infine c’è il Tempo psicologico che ha una natura diversa da quello fisico. Quanto tempo, quanti secoli, ci abbiamo messo per uscire dall’infanzia? La giovinezza che pur è statisticamente più lunga, diciamo dai venti ai sessanta anni, è andata via molto più velocemente. Nella vecchiaia è il disastro: gli anni volano (“ma come è già Natale, non era ieri?”), i giorni sono invece lunghissimi perché siamo meno impegnati. Prendiamo un mese di vacanza: la prima settimana si dipana lentamente, la seconda va in modo un po’ più veloce, la terza aumenta ancora la sua velocità, la quarta è appena cominciata che è già finita. Questo è il Tempo della vita dell’uomo. Un Tempo estremamente risicato, un fuggevole attimo nei confronti dell’infinito Tempo cosmico. Bisogna suggerlo nel modo più intenso possibile. Non si deve dilapidarlo come se fosse infinito, perché infinito non è. Una volta un intervistatore mi ha chiesto: “Qual è secondo lei il peccato capitale?” ho risposto: “Sprecare il proprio tempo”. Proprio quello che state facendo voi che mi leggete.
Grazie Massimo, avanti, sempre e solo unica direzione !
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I Francesi hanno stipendi molto più alti dei nostri, e più garanzie. I nostri lavoratori già sono in grosse difficoltà cosi, figurarsi dopo uno sciopero prolungato, cioè senza stipendio. Insomma, da noi è facile prenderci per fame..
Hanno una storia diversa, laica e “sovranista”, molto meno abituati ad inginocchiarsi: davanti ad un chierico, davanti ad un “notabile” o un mafioso, per quanto il Mondo ormai sia … globalizzato… Durante la Guerra si sono comportati diversamente, hanno bombe nucleari ed un seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’ ONU che non molleranno certo per fareci un piacere e consegnarlo… all’ Europa.
La parabola del ricco Epulone da loro non attacca, e non ascoltano, ogni giorno ed a ogni ora, clericali invocare una pelosissima “bontà” e la speranza del Paradiso. Nessuna ora di Religione nelle scuole pubbliche. Hanno giàò tanti problemi con le affollate banlieue, retaggio del colonialismo nei fatti ancora parzialmente “funzionante” che non ci pensano neppure ad essere “accoglienti”: lo vediamo bene a Ventimiglia come lo abbiamo visto a Tolone quando una nave ONG dopo mille tentennamenti ha osato sbarcare. Quasi ci dichiaravano guerra: l’ Hub d’Europa non ci pensano neppure a farlo, neppure per una volta. E noi: incidente diplomatico, scusate, scusate…
Basta ascoltare le parole del loro Inno nazionale: noi siamo “pronti alla morte”, loro marciano per bagnare le loro bandiere del “sangue impuro” dei loro nemici. Questo sentiamo e sentono cantare fino dalla culla: sarà un caso o il diavolo sta , anche, nei dettagli?
Insomma, sono cattivi, egoisti e sovranisti, nel senso che badano all’ interesse nazionale e non a “salvare il Mondo”.
Ma noi andremo in Paradiso, vuoi mettere, quindi testa bassa e silenzio. Da decenni ormai ci governano con questo. Che evidentemente, qui, basta.
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Ottimo aticolo di Massimo Fini, che però una volta che togli tutte le elucubrazioni (ntese in senso positivo) filosofiche e su questo e su
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…quello, rimane nell’essenza, un discorso basilarmente lapalissiano. Dire che i francesi si sbattono da sempre per i propri diritti, mentre gli italiot… ehm, gli italiani non se la menano neanche per quel minimo di dignità propria, è sostanzialmente come dire che l’acqua sia bagnata. Tecnicamente parlando, eh? In fondo, loro, i francesi, nel 1789 una bella rivoluzione se la son fatta, mentre noi…? Ci siamo inventati la Mafia. Vuoi mettere? Eh! 💪🏼🤦🏼♂️
NB: M’è partito l’Invio, e non solo non ho potuto rileggere (e correggere) il primo pezzo, ma ho dovuto continuarlo con un “doppio” post. Le mie scuse, non so che sia successo. Boh?
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[…] Epicurus ait: “Non accedet ad rem publicam sapiens, nisi si quid interuenerit”.
si res publica corruptior est quam ut adiuuari possit, si obscurata est malis, non nitetur sapiens in superuacuum nec se nihil profuturus impendet.
Interrogo ad quam rem publicam sapiens sit accessurus. Ad Atheniensium, in qua Socrates damnatur, Aristoteles ne damnetur fugit? in qua opprimit invidia virtutes? Negabis mihi accessurum ad hanc rem publicam sapientem. Ad Carthaginiensium ergo rem publicam sapiens accedet, in qua adsidua seditio et optimo cuique infesta libertas est, summa aequi ac boni vilitas, adversus hostes inhumana crudelitas, etiam adversus suos hostilis? Et hanc fugiet.
Si percensere singulas voluero, nullam inveniam quae sapientem aut quam sapiens pati possit. Quodsi non invenitur illa res publica quam nobis fingimus, incipit omnibus esse otium necessarium, quia quod unum praeferri poterat otio nusquam est.
Seneca
[…] Dice Epicuro: “Il saggio non si dedicherà alla vita politica a meno che non sarà intervenuta una qualche necessita”.
Se lo Stato è troppo corrotto per poter essere aiutato, se è invaso dai mali, il saggio non si affaticherà inutilmente né si sacrificherà se è destinato a non recare alcuna utilità;
Domando a che modello di Stato il saggio possa accedere. A quello ateniese dove un Socrate è condannato ed un Aristotele fugge per evitare la condanna? Dove l’invidia opprime la virtù? Dirai che il saggio non accede a questo Stato. Accederà allora a quello cartaginese, dove le sedizioni sono all’ordine del giorno, la libertà è esiziale per tutti i migliori, il bene e la giustizia non valgono assolutamente a nulla, si è disumanamente crudeli con i nemici e si trattano da nemici i concittadini? Fuggirà anche da questo.
Se volessi passarli in rivista ad uno ad uno, non ne troverei nessuno che possa tollerare il saggio o essere da lui tollerato. Ma se quel modello di Stato che noi immaginiamo non esiste, la virtù ritirata incomincia ad essere indispensabile per tutti, perchè la sola cosa che potrebbe essere preferita al ritiro non esiste da nessuna parte.
Seneca
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