(Giuseppe Di Maio) – E così, mi sono arreso. Vado ad infoltire la già nutrita schiera di chi si è allontanato dal Movimento per le più disparate ragioni. La mia, è che non sopporto più la gente. Sì, proprio il soggetto della rivolta a 5 stelle, l’argomento delle ideologie, della politica. La voglia di disertare le riunioni di condominio sarebbe già stata un sintomo rivelatore di quest’insofferenza, ma non ho voluto darci peso. E’ passato troppo tempo dacché frequentavo le conventicole rosse: da quando passavo intere serate a spiegare il senso delle dottrine egualitarie a donnette reazionarie e a operai esaltati dalle libagioni che ammorbavano con le flatulenze del dopo cena l’angusto spazio della rivoluzione cittadina.

Il tempo è passato e, a trent’anni dalla caduta del muro, la creatura grillina strappa un popolo bastonato e incolto dagli schermi televisivi e dai monitor dei social e lo concentra nelle sale gestite dal Comune a parlare di democrazia. Detta così sembra il preludio a un mondo nuovo, invece è l’inferno della ragione. Confluisce tra le sedie delle adunanze gente ignara della struttura sociale, digiuna di diritto pubblico, incapace di maneggiare le più semplici regole della democrazia. Essi, senza distinzione di genere, sono presti a distribuire giudizi con criteri precivili, secondo i precetti istintivi della simpatia, dimentichi di verificare gli obiettivi delle azioni politiche. Persino le semplici regole della discussione diventano intollerabili fardelli, se opprimono l’impulsività degli interventi e disattivano il potere della naturale autorevolezza.

Nonostante le recenti migliorie statutarie dell’esplicito indirizzo contiano, l’originaria creatura non sa ancora cosa vuole dalla politica, i suoi giudizi sono ancora espressi attraverso il “mi sembra” e il “mi piace”. E’ un universo ribollente di pruriti, dove le decisioni politiche potrebbero ancora prendere tutte le direzioni se non fossero appena mitigate da un generico animo ecologista. E pensare che questo popolo senza idee si propone di diventare classe dirigente. La lotta politica tra le sedie del Movimento nasce prima delle sue convinzioni, prima di ogni altro obiettivo. Ognuno è candidabile, spesso roso dal fuoco dell’interesse materiale o più spesso solo dal fuoco della vanità. Ognuno lavora per sé e promuove le poche cose che fa, il più delle volte in circuiti autoreferenziali senz’alcun valore politico ma solo civile. Si promuove l’astio tra i gruppi avversi di attivisti, sottogruppi, squadre, manipoli di nemici che si disprezzano senza alcun vero motivo, generando un ambiente dov’è impedita la crescita individuale e incessantemente minacciata l’esclusione. L’attuale dirigenza del M5S, nella quale tanta parte degli italiani colloca le proprie speranze, non ha origine dalle associazioni spontanee dei territori. E, se questo vertice ha a cuore la democrazia, deve assumersi la responsabilità di stabilire un nesso causale tra gli obiettivi politici e la passione civile, poiché lo sviluppo della coscienza è il traguardo migliore. Altrimenti, per seguire il bene comune, il “popolo” che crede di fare politica dovrà necessariamente essere manovrato.