Non sappiamo se Giorgia Meloni trovi il tempo per leggere qualcosa che non siano gli atti di governo, se sì possiamo consigliarle di sfogliare questo libro che parla delle donne che fecero la Costituzione. Quasi tutte “underdog”, svantaggiate dal contesto sociale e dall’identità di genere ma che […]

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – “Sono le ventuno storie delle ventuno donne che nel secolo scorso hanno avuto lo straordinario e difficile compito di sedere nell’Assemblea Costituente. Composta da 556 seggi, le donne che ne facevano parte rappresentavano soltanto il 3,8% del totale. Sono le vite complesse di chi ha attraversato conflitti, ingiustizie, disuguaglianze e ha fatto di tutto per cambiare il mondo nel quale viveva, senza paura dello scontro, dell’isolamento, del pregiudizio e del moralismo dell’epoca”.
Romano Cappelletto e Angela Iantosca: “ Ventuno”. Paoline editoriale

Non sappiamo se Giorgia Meloni trovi il tempo per leggere qualcosa che non siano gli atti di governo, se sì possiamo consigliarle di sfogliare questo libro che parla delle donne che fecero la Costituzione. Quasi tutte “underdog”, svantaggiate dal contesto sociale e dall’identità di genere ma che ce la fecero lo stesso a conquistare un ruolo nelle istituzioni, situazione ben nota alla prima donna premier della storia repubblicana. “Il peccato non nacque il giorno in cui la donna colse la mela; quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disobbedienza”. Questa frase di Oriana Fallaci, citata dagli autori nel ritratto della senatrice comunista Adele Bei coglie il senso di una sfida temeraria lanciata in un’arena postbellica intrisa di maschilismo. Come spiega Livia Turco nell’introduzione dedicata ai più giovani le Costituenti hanno inciso in modo particolare su alcuni articoli cruciali come l’articolo 3 relativo alla concezione dell’eguaglianza. Proposero che la pari dignità sociale e l’eguaglianza fossero “senza distinzione di sesso, di lingua, di religione, di opinioni politiche , di condizioni personali e sociali”. Scrive Turco che molti colleghi uomini reputavano superflua l’espressione “di sesso”, ma le Costituenti motivarono l’importanza di quella esplicitazione rammentando “quanto fossero diffuse nella nostra cultura e nel nostro ordinamento le discriminazioni nei confronti delle donne proprio in quanto appartenenti al sesso femminile, considerato debole e inferiore. Della Commissione dei Settantacinque incaricata di redigere il progetto da sottoporre all’Assemblea fecero parte cinque donne: Nilde Iotti, Maria Federica Agamben, Angelina Merlin, Teresa Noce Longo e Ottavia Penna Buscemi (poi sostituita da Angela Gotelli). A esse si deve la rivoluzionaria (per quei tempi) formulazione dell’articolo 37 secondo il quale la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e parità di lavoro, la stessa retribuzione che spetta al lavoratore. Anche se leggere che le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino diritti e tutele ci fa capire quanta distanza permanga tra il principio e la sua attuazione nella realtà, trascorsi settantacinque anni. Infine, tra le ventuno Costituenti nessuna di esse apparteneva al Movimento sociale e non soltanto perché il partito nei nostalgici fascisti e repubblichini fu fondato alla fine del 1946 mentre l’Assemblea che si era riunita per la prima volta sei mesi prima. Anche se da parte del Msi giungerà più tardi l’adesione alla Costituzione repubblicana fondata sul ripudio della dittatura oggi gli eredi più responsabili di quella cultura politica in vena di cambiamenti (a cominciare da Giorgia Meloni) sanno di doversi accostare con grande cautela alla Carta che non contribuirono ad approvare. Possibilmente attraverso una Bicamerale dove la presenza delle donne sia assicurata in misura paritaria rispetto agli uomini. Difficile ma sarebbe il modo giusto per onorare quelle pioniere.