
(Alessandro Orsini) – Dopo la ritirata strategica da Kherson, Concita De Gregorio scriveva su Repubblica che sarebbe stato giusto farmi sparire dalla televisione perché le mie previsioni pessimistiche non si erano avverate. Mi domando se il criterio repressivo proposto da Concita De Gregorio valga anche al contrario. Siccome i russi stanno riducendo Kherson a un cumulo di macerie probabilmente per riconquistare la città più avanti dopo avere fiaccato le sue difese; siccome i bambini muoiono e le persone vengono uccise in fila per il pane ; siccome la mia previsione era corretta, mentre la valutazione trionfalistica di Concita De Gregorio era completamente errata, mi domando: Concita De Gregorio dovrebbe sparire dalla televisione italiana? “Se Orsini sbaglia – così dice Concita De Gregorio – Carta Bianca non dovrebbe più invitarlo”. E se sbaglia Concita De Gregorio? Se Concita De Gregorio scrive su Repubblica che a Kherson la guerra è finita perché i russi sono in fuga, allo sbando e senza più voglia di combattere, ma poi Kherson viene rasa al suolo, che cosa succede? Concita De Gregorio torna in televisione senza problemi? Non scrivo queste cose per una disputa personale, ma per mostrare a chi segue questa pagina che, in materia di guerra in Ucraina, non c’è differenza tra i nostri giornalisti mainstream e i giornalisti della Tass. Il livello di propaganda in Italia sulla guerra in Ucraina è pari a quello in Russia. I nostri giornalisti mainstream dichiarano di essere professionalmente e moralmente superiori a quelli russi. L’osservazione distaccata del giornalismo italiano mainstream consente di affermarlo? Lascio a voi di giudicare su base documentata con l’augurio di non ritrovarmi tra i piedi Enrico Mentana una seconda volta. Copio e incollo il brano che Concita De Gregorio mi aveva dedicato: “Allora non era vero quel che diceva il superesperto conteso da tutti i programmi tv, il perfettamente sicuro professor Orsini… ‘Si prospetta un bagno di sangue, intendono fare un massacro, intendono combattere per mantenere Kherson’… Vedrai che la prossima volta si corregge, oppure non lo invitano più, perché che esperto sei se le analisi e le previsioni le sbagli tutte” (Concita de Gregorio, Repubblica, 13.11.2022).
Leggi “la distruzione di Kherson” su sicurezza internazionale, il quotidiano sulla politica internazionale che non distorce l’informazione e non manipola i lettori: https://www.sicurezzainternazionale.com/…/la…/
Orsini é quello che in udienza parlamentare dichiarò: la Russia potrebbe attaccare e potrebbe non attaccare.
E ancora oggi si vanta di avere azzeccato la previsione.
Un sociologo che fa l’analista militare, tipo il barbiere allenatore della nazionale o il taxista virologo.
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Bastava una parolina pronunciata dalla amministrazione criminale oltreoceano e probabilmente la guerra non sarebbe scoppiata. Non esiste la controprova, ma non esiste neanche la parolina pronunciata dai suddetti criminali che, comunque vada, guadagnano sempre qualcosa dai conflitti, perché li fomentano lontano da casa loro e, oltre a fare spazio nei magazzini buttando nella mischia le armi obsolete, ne vendono anche di nuove.
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“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”. Così Umberto Eco nel marzo 2018 attaccava Internet dopo aver ricevuto la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei Media”. “Prima – ha detto Eco – parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Io preferisco fidarmi di Orsini che di te, che con un nickname simile, ti presenti da solo.
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SOno quasi certa che Eco nel 2018 fosse già (purtroppo) morto.
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Refuso mio. 2015, dato che è morto nel 2016. Grazie Paolapci.
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W Orsini
M la de gregori
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Voli alto, professore, l’odore e’ minore !
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Comunque Concita la Drita non deve sparire dalla TV, bisognerebbe che qualcuno le rinfacciasse in diretta ciò che ha detto.
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Son d’accordo. Penso sia stata arrogante. É’ lecito aspettarsi da un/una esperto/a nel suo settore unacerta competenza (altrimenti di che esperti parleremmoi?), il problema qua é che la De Gregorio ha fatto un po´troppo la sbruffona.
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Lo fa normalmente, vedete qua l’atteggiamento col prof. Cardini di cui non gradisce l’analisi storica
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Sui “giornalisti” non c’è una virgola fuori posto. Basta guardare dentro la cloaca La7 per farsene un’idea.Dove ospitano giornalisti della loro stessa specie.Aliga
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Tu quoque, Michael… 😆🤣
Infosannio è sempre più “Infosulcis” (cit Jonny dio)
Ps per i continentali: aliga= spazzatura, immondizia.
Esilarante la nostra “aligapp”, l’app relativa ai servizi di raccolta differenziata della città di Cagliari.
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Era praticamente sparita, non se ne sentiva parlare da anni, poi un giorno definì Zingaretti un ologramma, Zinga le rinfacciò le macerie in politica dei radical chic, qualche ospitata in TV e ci si ricordò di lei che ritornò a funestare i video col suo pessimo ipocrita bon ton
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La De Gregorio non parla per se ma a pagamento. Non ha nessuna competenza ma gli viene affidato un compito daeseguire grazie alla sua immagine televisiva ben coltivata per gli allocchi telledipendenti. Se internet da voce agli imbecilli la da anche ai più dotati. la tv la da quasi solo ai suoi servi propagantisti. Eco doveva saperlo altrettanto.
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La De Gregorio è una dei tanti becchino della sinistra.La sua unica dote è nella cura che dedica alla sua capigliatura.A spese del contribuente?
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L’unica cosa che sento dire contro i pezzi di Orsini, è che Orsini “ha un ego smisurato”.
Qui per esempio fa un secondo articolo per ribattere alla degregorio, che magari poteva anche essere ignorata …
In parte forse è anche vero, e allora?
Quello che dice è giusto o sbagliato?
Poi se non avesse un ego particolarmente forte sarebbe stato zitto fin dall’inizio, e avrebbe mantenuto il suo lavoro e la sua reputazione, invece si è trovato tutto il mainstream contro, compresi i troll, i superficiali, i cottimisti, i disinformati, i tonti e le casalinghe di Belluno (ora arriva).
Un po’ come Travaglio.
Se uno non trae soddisfazione anche dalla lotta normalmente evita di mettersi contro tutti e cerca di vivere tranquillo, quindi, almeno per me, benvengano Orsini e Travaglio, che si buttano nella lotta senza paura delle conseguenze. Eroicamente direi.
Se eliminassimo anche loro due (e pochissimi altri), avremmo un’informazione completamente falsa.
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“Quello che dice è giusto o sbagliato?”
Chi dovrebbe decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato? Tu? Orsini? Chi? E quello che dice Papa Francesco è giusto o sbagliato?
Papa Francesco (alla rivista dei gesuiti “America”): “quando parlo dell’Ucraina, parlo di un popolo martirizzato. Se hai un popolo martirizzato, HAI QUALCUNO CHE LO MARTIRIZZA. Quando parlo dell’Ucraina, parlo della crudeltà perchè ho molte informazioni sulla crudeltà delle truppe che entrano… In genere, i più crudeli sono forse quelli che sono della Russia ma non sono della tradizione russa, come i ceceni, i buriati e così via. Certamente, chi invade è lo stato russo. Questo è molto chiaro”.
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disquisendo, da comodi salotti televisivi, l’allucinante DRAMMA, cui della povera gente , affamata, malata al freddo e’ sottoposta, e’ una cosa disumana. Si DISUMANA. Tutti ,tutti, congiuntamente , dovrebbero fare fronte COMUNE ,per giungere al piu’ presto ad una trattativa, e subito aiuti umanitari.
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Caro Professore, non si tratta della De Gregorio piuttosto che di qualunque altro “strillone” a pagamento. Ci troviamo di fronte ad una conseguenza lampante della progressiva deriva culturale e cerebrale (si, proprio cerebrale nel senso dell’organo ritenuto la fonte del ragionamento che si atrofizza nei più a velocità preoccupante) in atto da molto tempo e a cui corrisponde sempre più la perdita del merito come valore (almeno) opportuno per pontificare in faccia a milioni di persone più o meno ignare.
La regola del “doppio standard” ha trionfato, ma nessuno può rendersene conto perché non dispone del parametro di riferimento e dunque esiste un solo pensiero e una sola verità apparente.
Uomini come lei, che dedicano allo studio, all’approfondimento ed all’analisi il loro impegno quotidiano e professionale (ma anche etico) costituiscono una distorsione dell’immagine illusoria e posticcia che viene trasmessa H24 dalle emittenti della propaganda e devono – dunque – essere “espunti” dal palinsesto.
La De Gregorio non è meno inconsapevole dei suoi sostenitori imbalsamati, sebbene abbia una responsabilità morale più evidente, e non terrebbe il confronto con lei neppure per dieci secondi se accettasse un confronto leale.
In ogni caso, sono fiducioso, perché ci sono uomini e donne come lei che mi fanno credere che il piano per la lobotomizzazione subliminale collettiva è fallito.
Grazie
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Da due Comunisti con il Rolex della ZTL (Parenzo e De Gregorio ) filo americani (senza se e senza ma ) i loro commenti sono esenti da riserve di alcun dubbio .Sono solo al servizio del Mainstream ovvero camerieri del potere !
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Bruno, camerieri del potere è un eufemismo. Questi sono proprio dei lacché spudorati. È incredibile la faziosità della loro trasmissione. Comunque, per fortuna, il mio telecomando funziona……ed alla fine mi vedo un film su Netflix
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Personalmente se la signora De Gregorio sparisce da tv e carta stampata è un bene per tutti i mass-media
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La De Gregorio è la sua capigliatura fluente,gli occhialini firmati e la convinzione di essere qualcosa di diverso da un’ora giuliva. Ma non le riesce. Partendo non pervenuto
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Parenzo non partendo
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Paperenzo e Conciccia: il festival delle nullitá.
E ne parliamo pure.
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Sparire proprio no magari cambiare format Nell’isola dei famosi la Concita nazionale sarebbe un bel vedere magari accompagnata da paparenzo nelle vesti di venerdì 🤔
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Orsini, certi “giornalisti-e” vanno ignorati, ricordi che la noncuranza è il maggior disprezzo.
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Cultura del dominio politico e criminalità bellicista del potere. Una sintesi fenomenologica tra storia politica ed etica del diritto
by Musica&Musicologia
Mai come in questo particolare momento storico del conflitto armato in Ucraina – un conflitto non solo all’interno dell’Europa ma gestito direttamente e indirettamente dalle due principali potenze nucleari, Federazione Russa e USA – si è assistito in Italia a così tanto contrapposte ‘verità dei fatti’ e a conseguenti veleni polemici nella loro interpretazione; e non solo per l’inevitabile propaganda bellica, bensì nella dialettica politica e culturale a pressoché tutti i livelli e ambiti decisionali e d’opinione. Soprattutto a partire dai due principali, il politico-militare e l’economico finanziario, che costituiscono il primario fondamento del potere e del dominio internazionale, statuale e inter-statuale. Dove nei fatti prevale ancor più assoluto il livello decisionale, in quanto si tratta degli ambiti più vincolanti del potere reale. E da cui promanano tutti gli altri livelli protesi alla formazione del consenso; dal mediatico-informativo al politico-elettoralistico, dal formativo-pedagogico all’ideologico-culturale. Dove ne consegue il subordinato livello opinionistico, trattandosi degli ambiti del consenso politico di base; seppure ambiti solo abbastanza indirettamente influenti sul livello decisionale. Certamente il rapido espandersi della comunicazione social nell’era di Internet ha determinato un diffusivo ingigantimento e assieme un’invasiva, ma anche parcellizzante, dispersione del dibattito informativo e culturale: chiunque può esprimere sui social un proprio ben articolato e variamente supportato punto di vista, come accade soprattutto agli opinion leaders che siano di sistema o di più o meno marcata autonomia rappresentativa; e chiunque può esprimere la propria adesione più o meno personalizzata rispetto le opinioni altrui, che si rivelino appresso le più o meno dominanti proprio grazie agli opinion leaders.
Tale sbocco informativo inedito e quantitativamente inaudito per la tanto collettiva partecipazione – perfino regolata da meccanismi adesivi di potenziale rilevazione quali i like, i follower, gli hashtag … – si sovrappone sul persistente più vicino passato informativo, determinato dai ben più testati e tradizionali mass media: i programmi televisivi variamente dedicati, la stampa quotidiana e periodica, i dedicati programmi radiofonici, una varia pubblicistica libraria informativa ma di più spiccato spessore culturalizzante … Così accade adesso un curioso fenomeno, legato non solo alle concentrazioni editoriali nelle mani di personaggi abbastanza rappresentativi del potere economico-finanziario: si compattano in una maniera ben più evidente che in passato le opinioni prevalenti e di più diretto supporto al decisionismo politico subordinato ai detti poteri forti. Un decisionismo peraltro espresso in maniera del tutto svincolata dai fondamenti della democrazia rappresentativa e attraverso il suo stesso ben mirato indebolimento: sistemi elettorali truffaldini a favore del blocco partitocratico più asservito ai poteri forti e più o meno internazionalizzati nel blocco atlantista (ma solo perchè quello al momento più predominante), decisionismo di vertici governativi assolutizzati e affidati a personaggi ‘rappresentativi’ dell’establishment economico-finanziario tanto a livello nazionale che internazionale europeo, posizionamento nei posti-chiave di gestione del potere di nominati personaggi mediocri ma funzionali anche solo per la loro massima affidabilità … Questo fenomeno appare senz’altro da connettere all’inedita e notevole influenza dei canali internet più autonomi rispetto il sistema, oltre che alle poche voci informative ad esso concorrenziali e per lo più tutti costretti all’autofinanziamento, rispetto le fonti informative di sistema finanziate invece con le provvidenze statali per l’editoria, se private, oppure invase o gestite nei ruoli di comando da professionisti nominati, se pubbliche. Con un progressivo allontanamento della stessa cittadinanza, così ufficialmente del tutto espropriata da una reale partecipazione democratica, e con una politica generale ancor più fondata essenzialmente sull’ancor più demagogico divide et impera dei meno deboli contro i più deboli.
Perché dunque il sistema politico-informativo reagisce adesso con una più vincolata e vincolante compattezza fin troppo faziosa rispetto le opinioni estranee con la sua ‘opinione di regime’, o di cosiddetto mainstream, gestito dai professionisti che ben condizionatamente esprimono quella compattezza perfino con finzioni dialettiche e irrilevanti contrapposizioni di puro contorno, divenendone essenzialmente suoi biechi portavoce? Tanto da risultare ai propri fruitori sempre meno credibili, con una conseguente grave crisi della carta stampata – evitata appunto grazie alle provvidenze statali. L’unica e peraltro evidente risposta va appunto riscontrata nella necessità del mainstream di controbilanciare le narrazioni di verità fattuale e storica abbastanza ben circolanti sul web. Certamente verità complementate non di rado da false notizie e da opinioni etero-guidate e dunque molto attentamente da vagliare nella loro provenienza e consistenza. E perfino aiutandosi con molto discernimento nel confronto con le più o meno taroccate fonti di sistema. Lavoro duro e diuturno che richiede fin dall’inizio capacità notevoli di lettura e di attentissime discriminazioni concettuali comparative e di adeguate e anche pre-acquisite aperture culturali … Ma che soprattutto pretende come pre-requisiti degli adeguati modelli di approccio educativo e formativo ad evitare intere generazioni di individui letteralmente incapaci di una propria autonomia riflessiva e argomentativa. Una realtà di fatto oramai nel sempre più ricorrente ‘analfabetismo di ritorno’ e un argomento certo abbastanza complesso da trattare in poche righe …
Qui sorge semmai la domanda essenziale da porsi: “ha un senso culturale ed etico il sempre disporre in primo piano il confronto verbalmente ‘cruento’ di opinioni contrapposte, quasi al modo di un prolungamento verbale degli effettivamente cruenti eventi bellici, di cui si starebbe dialogando?” La risposta è positiva solo se proiettata nella più aperta dialettica del confronto: disposta sia all’affermazione bene argomentata e soprattutto educatamente pacata dei propri punti di vista, ma anche non esclusivamente irrigidita davanti alle altrui diverse opinioni: discutere per affermare esclusivamente le proprie opinioni o solamente per confutare le altrui non è dialogare, ma monologare se non sproloquiare per esclusivamente affermare la propria personalità. Dunque una prepotenza allo stato puro se non manifesta capacità adeguate di ascolto, perché chi dialoga deve sempre essere ben disposto anche a modificare o quanto meno ad arricchire il proprio punto di vista.
Insomma in negativo si tratta di un riflesso, per quanto possa sembrare piccolo e irrilevante, di quella stessa volontà di potente auto-affermazione che spinge i poteri forti verso la guerra effettiva. Solo che in tal caso si sovrappone come ben più determinante la meccanica degli interessi di status economico e sociale e le relative appartenenze. Se l’interlocutore è coinvolto in questa meccanica ha senso dialogarci esclusivamente se nella questione in gioco si intravvedono in positiva mediazione degli interessi antagonisti altrettanto primari. Se invece si intravvede solo la possibilità di una messa a confronto di opinioni ma con elementi di legittimità da entrambe le parti è proprio da quelli che bisogna avviare il dialogo. Per poi cercare poco a poco la natura fondamentale del contrasto e per ben poterlo così mettere a fuoco. Ciò non significherà arrivare ad accomunanti punti di vista, bensì magari a rilevare come dato discordante solo la stessa natura ontologica del contrasto: non di rado la sua, spesso costante, primaria e ben diversificata strutturazione culturale, intellettuale e mentale.
Ma veniamo al dunque dell’argomento. La non dichiarata guerra europea in corso, dietro i contrapposti pretesti del conflitto in Ucraina che ne hanno costituito solo la più deflagrante scintilla, si sta rivelando il più grave dei locali conflitti di una già dichiarata ‘guerra mondiale’ tra due opposte e non mediabili concezioni dell’ordine mondiale: la concezione unipolare di marca atlantista sostenuta dagli USA e dalle sue nazioni-satelliti più o meno dominate tramite la presenza militare di basi NATO – con una concezione unilateralista dell’alleanza atlantica sempre più asservente ed insostenibile; la concezione multipolare di marca BRIC (Brasile, Russia, India, Cina …), già pienamente attiva e in sempre più aperta espansione sul piano della ridefinizione di un ordine economico e commerciale svincolato dal dominio del dollaro e di Wall Street. E pertanto è anche un sotterraneo e sempre più latente conflitto – ma neppure pronunciabile dai nostri asserviti politici, seppure in vario modo espresso dai più seri e indipendenti analisti politico-militari – dell’anglosfera (USA, UK e paesi aggregati di lingua e tradizioni anglosassoni assieme ai paesi del nord-est europeo a maggior vocazione anti-russa) contro la stessa indipendenza dell’)Unione Europea. Ossia contro le pregresse o incipienti aperture economico-finanziarie dei suoi più importanti paesi con Cina e Russia: gli atti più eclatanti sono gli attacchi ai gasdotti Nordstream1 e Nordstream2 e, prim’ancora, la recessione economica costretta dalle iniziative sanzionatorie anti-russe e anti-cinesi prodotte dalla politica USA per favorire le proprie multinazionali di approvvigionamento energetico. Lo stesso riarmamento tedesco può essere inserito in questa chiave conflittuale dialettica, proprio considerata la proprietà congiunta di Russia e Germania dei detti gasdotti: una gravissima situazione che individua nell’intelligence USA il più interessato mandante ai relativi atti terroristici e nei confronti di un ‘alleato’ strategico!
Ecco perché a molte teste autonomamente pensanti sembrerà sempre troppo tardi quando la politica internazionale degli USA verrà finalmente inquadrata ‘alla luce del sole’; ossia nei rivelati suoi aspetti più oscuri e tragici, anche come la politica del primo e più importante al mondo stato oppressivo dei popoli tra il XX e il XXI secolo. [cfr. la documentata storia della vita di Henry Kissinger e, in parallelo, la storia del paese attualmente definibile come il più assassino e terrorista del mondo:
Si tratta di storia, ma di storia costantemente mistificata dalla ragione di Stato, ossia dalla tutela politica delle ragioni del più forte, che intende così sottrarsi alle preminenti ragioni del diritto nazionale e sovranazionale.]
Però quando ciò accadrà potrà risultare ancora più evidente come questa primazia della violenza non è che l’estrema risultante fenomenologica del patologismo tipico di ogni sistema politico fondato sul dominio economico e militare e dunque crescente in proporzione alla sua propria volontà e potenza di affermazione e in maniera correlata di altrui oppressione. Insomma la più grande maledizione per l’intera umanità, che al potere purtroppo affida di buona norma i propri destini.
Così potrebbe magari risultare più facile comprendere la vacuità degli attuali opposti ideologismi; che al momento del suo agire quel preponderante, e dunque almeno nell’apparenza più prepotente, potere o lo giustificano “come il male minore rispetto ogni altro peggiore male”, senza ben riflettere che la misura vincente del male umano è invece di necessità sempre il peggiore o tutt’al più concorrenziale al peggio con gli altri mali; oppure all’inverso che la sua stessa condanna risulterà inevitabilmente di parte perché in qualche modo dimostrabile come giustificativa dei mali implicati nei perseguimenti di potere espressi altrove e più o meno considerati in concorrenza col potere preponderante.
La domanda che rimane sullo sfondo e a cui si danno risposte per lo più di convenienza del momento se non meramente opportunistiche: “è mai esistito un sistema di potere connesso ad una volontà di dominio intrinsecamente ‘buona’”? La risposta positiva più ovvia la si trova nel diritto come sistema regolativo e in evoluzione costruttiva nelle relazioni interne ed esterne a ciascun popolo. Ma il punto interrogativo rimane se la domanda viene riformulata: “è mai esistito un sistema politico di potere e di dominio che si è mai fatto sottomettere del tutto dal diritto nelle relazioni interne – ossia nel principio che ‘la legge è eguale per tutti’ – ed esterne – ossia nel principio che ‘il diritto internazionale promuove la libertà e le buone relazioni dei popoli’?
Certamente il diritto pone i fini regolativi astratti anche come basi del concreto e diffuso consenso del sistema politico e la loro evoluzione cammina nella storia di pari passo anche con l’evoluzione della cultura; ma anche dei rapporti di forza interni ed esterni ad ogni sistema sociale. Pertanto come va in tal senso valutata l’evoluzione civile: ‘positivamente’ come una ricerca costante di perfezione della migliore regolazione giuridica – insomma della giustizia civile ed internazionale; oppure ‘negativamente’ come una costante riformulazione di quegli stessi rapporti di forza? Insomma il suo postulato etico di riferimento sarà sempre e solo il pessimistico (nello specifico restrittivo senso hobbesiano) “Homo hominis lupus” (“ciascun uomo [per natura] male si comporta come un lupo con ciascun altro uomo”) oppure l’ottimistico (baconiano) “Iustitia debetur, quod homo homini sit Deus, non lupus” (“Si deve alla giustizia se [per civiltà] ciascun uomo bene si comporta come Iddio e non come un lupo rispetto ciascun altro uomo”). Magari, in tale secondo caso, concretizzando idealmente e politicamente nella visione illuminista di una ‘pedagogia civile’: fondata sul comunitarismo familiare e sociale e sul precoce annullamento educativo delle pulsioni connesse alla volontà di dominio e di altrui oppressione (Rousseau)? Esiste compatibilità tra queste due opposte visioni oppure, come accade di solito, in medio stat virtus? E, nel caso, dove e come si pone un livello di mediazione?
Una cosa appare la più probabile: quando l’auspicio di verità storica posto nel nostro avvio sarà pienamente realizzato – perché prima o poi accadrà, anche se probabilmente noi di adesso in quella epocale svolta storica non ci saremo – si comincerà a discutere stavolta dell’oppressione dei nuovi preponderanti poteri. E così, come accaduto sempre, quello nuovo vincente nel legittimarsi attribuirà ogni suo stesso male ai suoi avversari e al contempo lo amplificherà per mantenersi esso stesso vincente. Sarà invece il momento di svolta successivo alla più compiuta decadenza di ogni ordine di sistema politico, e del potere che lo rappresenta, che determinerà il più autentico giudizio storico nei suoi propri confronti; assieme alla migliore valutazione dei pregressi sintomi di quella decadenza: già però anche espressi nelle fasi di massimo fulgore – della pax imperiale (della romana nell’antichità come della statunitense nell’attualità) imposta da quel preponderante potere con le armi e l’economia, il dominio e le oppressioni di popoli su altri popoli.
Insomma il potere più è dominante e meno permette spazi autentici per essere giudicato, semmai produce strumenti sempre più raffinati per la propria intangibilità fisica ed etica: i sistemi del cosiddetto ‘consenso di massa’, appunto perpetuando per come possibile e almeno in parte anti-pedagogicamente la qualità ‘bruta’ di quella massa. Così chi si ribella al potere dominante, denunziando soprattutto gli aspetti più inauditi della sua prepotenza, per un verso va donchisciottescamente contro la storia che ha legittimato quelle forme di dominio e dunque egli stesso si colloca da subito tra i più potenziali ‘perdenti’ di quella stessa parte di storia; per altro verso, spingendosi verso l’utopia di un rinnovamento dell’umanità, si predispone a superare proprio ‘quella’ storia e a fondare e sostenere, dunque da possibile futuro vincente, le futuribili affermazioni dell’auspicata svolta storica. Queste sono le motivazioni più profonde che portano taluni a sostenere prevalentemente le ragioni dei perdenti e tal’altri le ragioni dei vincenti: i primi perseguono l’utopia, i secondi non credendo in quell’utopia sono pronti a giustificare le distopie dell’attualità. Chi avrà ragione nel primo caso potrà fare i conti con gli entusiasmi del cambiamento, salvo poi doversi confrontare con i limiti umani di quella ‘raggiunta (ma sempre in corso di affermazione)’ utopia. Chi appoggia ad oltranza lo status quo, negandone o giustificandone magari entro certi limiti le distopiche aberrazioni, sarà magari a proprio modo produttivo tra i vincenti, ma solo fino a che la storia sembrerà dargli ragione o piuttosto gli darà torto. Ed esiste anche la possibilità abbastanza frequentata in verità dall’umanità più grigia, del riadattamento opportunistico e trasformistico nei mali del rinnovato sistema, anche se prima aspramente criticati nel precedente sistema.
Noi idealisti pensiamo che non bisognerebbe mai accontentarsi e sempre offrire realistiche testimonianze, per quanto possano risultare limitate, del meglio. Pertanto favorendo e perseguendo sempre l’utopia, pur sapendo che il suo deterioramento è, o prima o poi potrà rivelarsi, una contingenza umana. Però non è che coloro che si schierano col vigente preponderante potere abbiano necessariamente sempre torto, proprio perché esprimono una visuale vincente e dunque più tranquillizzante per essi stessi: semplicemente perché ognuno esprime anche il diritto concreto di cercare la felicità durante la propria limitata vita nel modo che ritiene più efficace. Pur’anche – e qui sta il punto – contro l’altrui diritto alla felicità. E d’altronde come può il singolo sentirsi mai così veramente determinante prima ancora che adatto nell’affrontare risolutivamente simili gigantesche questioni?
Una ricerca di equilibrio ideale consisterebbe nell’emarginare la peggior disumanità, comunque e ovunque nei momenti anche più difficili in cui si viene messi alla prova. Ma già questo potrebbe troppo tendere ad allontanare dal potere e dalla sua volontà di dominio e dunque, per i più, dallo stesso perseguimento – parzialmente giusto o parzialmente ingiusto che sia – della propria preminente felicità. E chi mai potrà decidere in maniera assoluta i contorni se non l’imperfezione umana di questo diritto alla felicità?
Oppure sostenendo un modello educativo che valorizzi la personalità ma nell’emarginazione socialmente ben strutturata, convinta e motivata, delle pulsioni aggressive (il richiamato buon Rousseau). E non sembri un fatto casuale che in ogni tempo ogni forma di comunitarismo ideologico sia sempre stata aspramente combattuta dal potere, specie se trasposta in programma politico. Ma anche qui il discorso necessariamente più approfondito porta lontano … E allora, senza tema di collocarsi tra i (falsi) perdenti del momento, ogni situazione critica meriterà sempre una migliore scelta possibile, magari sempre interrogando a fondo la propria coscienza. Forse sta proprio qui il più motivato riferimento ideale e assieme concretizzabile per i limiti terreni di quella stessa personalizzata felicità?
(28 novembre 2022)
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