Effetti avversi più probabili se prima dell’iniezione si è guariti. L’immunità naturale di chi è guarito dal Covid-19 dura più a lungo di quella indotta dai vaccini, chi si reinfetta ha scarsissime probabilità di contrarre forme severe della malattia (0,06 per cento, letalità quasi a zero) e per chi si vaccina dopo la guarigione cresce il rischio […]

(DI ALESSANDRO MANTOVANI – Il Fatto Quotidiano) – L’immunità naturale di chi è guarito dal Covid-19 dura più a lungo di quella indotta dai vaccini, chi si reinfetta ha scarsissime probabilità di contrarre forme severe della malattia (0,06 per cento, letalità quasi a zero) e per chi si vaccina dopo la guarigione cresce il rischio di effetti avversi detti sistemici post vaccino, fino al 50 per cento in più rispetto a chi si immunizza senza essersi mai contagiato. Gli effetti avversi sistemici (cioè non locali) comprendono quelli gravi ma non solo, basta la febbre per intenderci. Anche gli effetti avversi locali sono più frequenti tra i guariti vaccinati, fino al 20-40 per cento in più a seconda degli studi.

Sono le conclusioni di una rassegna di ben 246 articoli scientifici pubblicati in tutto il mondo tra l’aprile 2020 e il luglio 2022, comparsa il 25 ottobre sul Journal of Clinical Medicine, una rivista scientifica che si colloca a metà strada nel quartile delle più autorevoli. Lo firmano tredici studiosi italiani di orientamento critico verso le campagne vaccinali anti-Covid, coordinati da Sara Diani, che insegna medicina integrata all’Università Jean Monnet di Padova. Tra gli autori c’è anche Alberto Donzelli, esperto di Sanità pubblica, ex dirigente all’Ats di Milano, già membro del Consiglio superiore di sanità ed esponente di primo piano della Commissione medico scientifica indipendente che dal 2021 contesta le vaccinazioni di massa contro il Covid-19. Qui peraltro si legge che “l’immunità naturale e quella indotta dai vaccini possono entrambe essere utili a ridurre la mortalità/morbilità della malattia, ma esistono ancora molte polemiche”. Insomma, parliamo di studiosi ragionevoli e certamente meritevoli di un leale confronto, che in Italia purtroppo è mancato. I dati, peraltro, nel nostro Paese come altrove continuano a dimostrare che i morti da Covid (o con Covid) sono ancora più numerosi tra i non vaccinati rispetto a chi ha fatto tre (o quattro dosi): da tre a sette contro uno secondo l’ultimo report esteso dell’Istituto superiore di sanità, riferito ai decessi di settembre che sono stati quasi tutti di ultraottantenni. Le infezioni invece colpiscono vaccinati e non senza differenze apprezzabili, anche perché la gran parte delle somministrazioni risale a parecchi mesi fa.

L’articolo pubblicato dal Journal of Clinical Medicine cita una trentina di studi sull’immunità naturale, condotti fin dal 2020 (e quindi anche prima delle vaccinazioni) su migliaia di persone negli Usa e nel Regno Unito, ma anche su milioni di svedesi. Senza entrare nei dettagli documentano la presenza di anticorpi e memoria cellulare a distanza di otto, dodici, sedici, a volte perfino venti mesi dalla guarigione nella maggior parte dei pazienti. L’immunità vaccinale invece dura meno, comincia a ridursi dopo cinque o sette mesi e poi declina rapidamente, anche se sarebbe un errore pensare che un 20 o perfino un 10 per cento di riduzione della trasmissione sia irrilevante. La durata limitata della protezione è del resto confermata dalla necessità di somministrazioni ripetute, raccomandate da scienziati non certo al soldo delle aziende che stanno facendo miliardi con i vaccini anticovid anche grazie ai contratti capestro firmati dall’Ue (in Italia sono attese 107 milioni di dosi entro giugno prossimo, chissà a chi le daranno…). Peraltro i dati di Israele, dove le quarte dosi per gli over 60 sono iniziate a gennaio 2022, dicono che le infezioni dopo sei mesi si erano ridotte di circa il 50 per cento nel confronto tra chi ha fatto quattro dosi e chi si è fermato a tre. Gli articoli citati dagli studiosi italiani documentano anche che l’immunità persiste più a lungo nei giovani rispetto agli ultra65enni

Gli studi presi in esame nell’articolo del Journal of Clinical Medicine si riferiscono in larga parte a dati del 2021, quando era dominante la variante Delta, meno trasmissibile ma più aggressiva della successiva Omicron, cinque volte meno letale in generale – scrivono – e dieci volte meno letale tra gli anziani. Con Omicron però l’immunità naturale protegge meno che in passato, nell’ordine del 60 per cento secondo gli studi citati dai ricercatori italiani. Che sottolineano anche come la carica virale dei vaccinati contagiati sia sostanzialmente simile a quella dei non vaccinati.