(Massimo Gramellini – corriere.it) – Il ministro dell’Istruzione e del Merito non riesce a capacitarsi delle critiche suscitate dalla nuova denominazione del suo dicastero. Ma come? – si chiede il professor Valditara – la sinistra non lamenta da anni la fine dell’ascensore sociale (espressione orribile, ma tant’è)? E proprio adesso che si vorrebbe far ripartire l’ascensore, spalancando le porte ai più meritevoli anche se non sono figli di papà (quelli un posto in prima fila lo trovano sempre) è bastata una parola per scatenare l’inferno. Invano Salvini, il quale ha frequentato il classico sicuramente con merito, avrà ricordato ai soci di governo che per i sofisti greci le parole non hanno un significato univoco. Quando dici «merito», la destra pensa a talentuosi e sgobboni, la sinistra a una scuola dove, a parità di impegno, chi ha minori capacità perché magari proviene da un ambiente disagiato sarà lasciato indietro.

Il problema irrisolvibile è che, nel merito, hanno ragione entrambe. La destra si riferisce alla definizione della parola, mentre la sinistra all’esperienza pratica (di cui peraltro è stata ampiamente corresponsabile). In Italia, terra di famiglie e di clan, il merito scolastico non è mai esistito: intanto non si è mai trovato un criterio per misurarlo che non siano i quiz. Ma soprattutto – e basta dare una scorsa alla letteratura giudiziaria sui concorsi universitari dove certi professori si spartiscono cattedre come panini – da noi uno studente è considerato meritevole non quando conosce qualcosa, ma qualcuno.