
(Massimo Gramellini – corriere.it) – Essere mandati platealmente a quel paese dall’alleato Berlusconi e, subito dopo, venire eletti alla seconda carica dello Stato con i voti determinanti dell’opposizione. Chiunque fosse sopravvissuto a un uno-due emotivo di quel calibro avrebbe avuto ottime ragioni per vacillare. Va invece dato atto a Ignazio La Russa di essersi inerpicato lungo le pareti del suo primo discorso presidenziale con un’accortezza figlia dell’esperienza, nonostante avesse puntati addosso i fari di mezzo mondo in ansiosa attesa di potergli imputare qualche irrigidimento: se non dell’avambraccio, almeno del linguaggio. E invece: i fiori alla Segre, l’omaggio ecumenico alle vittime del terrorismo e la citazione meritoria del commissario Calabresi (anche se per l’emozione lo ha declassato a ispettore). L’ex missino di lungo corso che un’imitazione di Fiorello traghettò in uno strabuzzar d’occhi nella Repubblica della Simpatia sembrava essere giunto al traguardo indenne, quando, come capita a certi studenti, ha incespicato sulle date.
Ha reso omaggio al 2 giugno, al 1° maggio, addirittura al 25 aprile, ma a quel punto gli è scappata la frizione e ha proposto di festeggiare anche la nascita del Regno d’Italia. Se avesse detto «Unità d’Italia», nessun problema. Invece ha detto «Regno» e adesso qualche prevenuto è pronto a estrarre i fantasmi dall’armadio. Vagli a spiegare che quella di La Russa era un’astuta presa di distanza: l’ultimo Mussolini detestava a tal punto il Re da rammaricarsi di aver fatto finire la marcia su Roma davanti al Quirinale anziché dentro.
Pistolotto al solito privo di qualunque valore. Gramellini sta aspettando ordini dalla sacrestia, e nel frattempo si barcamena.
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Che scempiaggine: senza il Regno d’Italia non ci sarebbe mai stata la Repubblica Italiana ( che il Cielo la salvi dai tanti, differenti, articolati, suoi irriducibili nemici)
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