L’interrogativo in fondo è solo uno: Giuseppe Conte li ha pagati o questi stanno facendo tutto da soli? Dopo aver seguito come giornalista decine e decine di campagne elettorali, locali e nazionali, la domanda mi ronza da giorni provocatoria nel cervello […]

(di Peter Gomez – ilfattoquotidiano.it) – L’interrogativo in fondo è solo uno: Giuseppe Conte li ha pagati o questi stanno facendo tutto da soli? Dopo aver seguito come giornalista decine e decine di campagne elettorali, locali e nazionali, la domanda mi ronza da giorni provocatoria nel cervello. Mai prima d’ora avevo assistito a un simile corale sforzo da parte di leader avversari per rivitalizzare un loro concorrente che fino a 4 mesi prima era da considerare politicamente morto.

Nessuno, è ovvio, può oggi conoscere quelli che saranno i risultati di domenica 25 settembre. Ma chiunque mastichi un po’ di politica e di tecniche per creare consenso deve ammettere che fin qui i migliori alleati di Conte sono stati i suoi nemici. Giorgia Meloni e Matteo Renzi, con la loro indefessa campagna contro il Reddito di cittadinanza, hanno rimesso l’ex premier al centro della scena, quando ormai sembrava destinato a scomparire dai radar. E lo stesso hanno fatto Letta e il Pd quando, dopo aver votato contro l’introduzione del sussidio, hanno preso a difendere il provvedimento senza pensare che il Reddito di cittadinanza nelle menti degli elettori non viene associato a loro, ma al Movimento 5 Stelle. Stessa scena è da registrare pure sul salario minimo, vessillo dei pentastellati, in parte avversato dal Pd, ma divenuto per i dem argomento da comizio.

Comunione e Liberazione ha poi fatto di più e di meglio (per Conte). Non lo ha invitato al Meeting di Rimini, dandogli modo di apparire agli occhi di milioni di cittadini come un politico estraneo al sistema. Mentre Luigi Di Maio, dopo essersene andato dal Movimento con una sessantina di ex pentasellati, non solo ha dato il via alla slavina che avrebbe portato alle dimissioni di Mario Draghi (benefiche per l’avvocato di Volturara Appula), ma si è pure premurato di continuare a ripetere in tv che i 5Stelle non esistevano più, perché quello era ormai il partito di Conte. Un assist in piena regola, visto che tutti i sondaggi in quel momento descrivevano i pentastellati in caduta libera con l’ex premier però sempre al primo o al secondo posto negli indici di popolarità tra vari leader di partito.

Così oggi sempre più spesso si sente gente che alla fatidica domanda “tu cosa voti?” risponde “per Conte”. Conte e non Cinque Stelle. Anche Beppe Grillo, che un paio di anni fa aveva tentato di opporsi alla nomina dell’ex presidente del Consiglio come numero uno del Movimento da lui fondato, ha finito per favorirlo. La sua vecchia (e superata?) contrarietà al cosiddetto avvocato del popolo e la sua scelta di non fare campagna elettorale assieme a lui ha permesso a Conte di far passare il messaggio: il mio M5S è un’altra cosa. Inoltre la decisione del garante di non derogare alla regola dei due mandati, cosa che Conte avrebbe invece voluto, ha consentito ai pentastellati di presentarsi ancora agli occhi dei cittadini come un partito diverso dagli altri.

Altri assist sono poi arrivati dall’ex grillino in pectore (secondo il garante) Mario Draghi. Le sue posizioni prive di dubbi sull’invio di armi all’Ucraina hanno posto il dubbioso Conte, che pure era inizialmente favorevole ai rifornimenti, in sintonia con milioni di italiani o contrari o dubbiosi come lui. E l’evidente e contraccambiata antipatia per il predecessore ha permesso a Conte di guadagnarsi, molto più che Meloni, il ruolo di anti-Draghi. Se tutto questo, sommato all’arrembante campagna fin qui condotta, consentirà all’ex premier di superare non solo la Lega, ma pure il Pd lo vedremo domenica. Di certo, però, degli avversari così nemmeno lui avrebbe mai sperato di averli.