Il 14 novembre 1947, nel corso del dibattito della Costituente sul titolo IV, “La magistratura”, Giovanni Leone interviene sulla richiesta avanzata dalle ventuno deputate elette nell’assemblea che deve redigere il testo della Costituzione repubblicana: che alle donne venga concesso […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – “Gli stereotipi di genere elaborati da Mussolini e imposti come stile di vita nel Ventennio si affermarono come modelli difficili a morire, destinati a segnare la storia del Novecento e a influenzare perfino gli anni Duemila”. Mirella Serri, “Mussolini ha fatto tanto per le donne!”, Longanesi. Il 14 novembre 1947, nel corso del dibattito della Costituente sul titolo IV, “La magistratura”, Giovanni Leone interviene sulla richiesta avanzata dalle ventuno deputate elette nell’assemblea che deve redigere il testo della Costituzione repubblicana: che alle donne venga concesso l’accesso alla carriera di magistrato come agli uomini. L’illustre giurista (e futuro capo dello Stato) obietta che le donne devono stare lontano “dalle più alte magistrature, dove occorre resistere e reagire all’eccesso di apporti sentimentali, dove occorre distillare il massimo di tecnicità”. La sua tesi – scrive Mirella Serri – è che le donne sono fragili, esposte alla tempesta dei sentimenti, non hanno un predisposizione verso una mentalità tecnica e “solo gli uomini possono avere quel grado di equilibrio e di preparazione necessario per tali funzioni”. Leone, ricorda l’autrice, non è l’unico a coltivare preconcetti “democratici” nei confronti delle donne. Il repubblicano Giovanni Contri, tenace oppositore di Mussolini, sostiene che è imprudente accettare le donne in magistratura: “Per loro subordinazione fisiologica… Dal momento che, ci sia consentito di dirlo, in certi periodi sono assolutamente intrattabili”. Per questo sono più predisposte per “i servizi di cancelleria”. Il liberale antifascista Alfonso Rubilli osserva che le femmine non sono adatte a espletare nemmeno le “mansioni di giudici popolari”. Si chiede: “Credete voi che sia proprio facile di avere in Assise una povera madre di famiglia, traendola… dalle sue occupazioni domestiche?”. Nella sua documentata confutazione del dittatore sostenitore dell’emancipazione femminile (balla gigantesca che si iscrive nel solco favolistico del “Mussolini ha fatto anche cose buone”), Mirella Serri non fa sconti quando ricorda le baggianate uscite dalla bocca di fior di antifascisti sul tema della parità dei generi (allora non si chiamava così). Quando dimostra come nel nostro Paese pregiudizi e stereotipi contro le donne siano sempre stati presenti nel costume di casa, modelli preesistenti al fascismo e che l’avvento della democrazia non ha cancellato, purtroppo. Si dirà che certa baggianate risalgono a 75 anni fa, eredità di una cultura misogina che sarebbe oggi fortunatamente superata. Siamo davvero convinti che il maschilismo fascista (e il maschilismo tout court) abbia cessato di inquinare un modello culturale che a parole difende l’emancipazione femminile ma nei fatti la contrasta? Non sono passati molti anni da quando l’allora premier Silvio Berlusconi consigliava alle ragazze in cerca di lavoro di trovarsi piuttosto un marito benestante. Tra pochi giorni, e per la prima volta nella storia italiana, potrebbe diventare premier una donna, e una donna di estrema destra. Proprio lei, Giorgia Meloni, accusata, e non soltanto a sinistra, di non avere preso le dovute distanze da quei nostalgici del Ventennio che del maschilismo eterno si sono nutriti. Coloro che l’ipotesi di una donna a Palazzo Chigi avrebbe inorridito (e che forse inorridisce ancora). Non è un paradosso della Storia?