(open.online) – Intanto la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni annuncia una querela a Repubblica per l’intervista dell’ex ambasciatore Kurt Volker: «Le nostre fonti di finanziamento sono tutte verificabili. Sono certa che Fratelli d’Italia non prende soldi da stranieri», ha detto la leader a Radio 24. «Repubblica e Volker ci portino le prove. Siccome non ci sono penso che la querela sia inevitabile».

Nel colloquio con Paolo Mastrolilli l’ex feluca Usa presso la Nato ha detto: «Sapevamo da anni che i russi spendono per influenzare le elezioni in tutto l’Occidente. Cercano di promuovere la divisione nelle nostre società e fra i nostri paesi. Questi 300 milioni non hanno fruttato molto, però hanno migliorato le prospettive di alcuni partiti, come quello di Le Pen in Francia e Fratelli d’Italia da voi».

(Paolo Mastrolilli per repubblica.it) – “Le simpatie per la Russia della Lega e di Berlusconi erano note, ma ora il ritornello costante è che anche Fratelli d’Italia abbia ricevuto qualche aiuto”. È il sorprendente commento di Kurt Volker, ex ambasciatore Usa alla Nato col presidente Bush e inviato speciale per l’Ucraina con Trump, alla denuncia del segretario di Stato Blinken: “Sapevamo da anni che i russi spendono per influenzare le elezioni in tutto l’Occidente. Cercano di promuovere la divisione nelle nostre società e fra i nostri paesi. Questi 300 milioni non hanno fruttato molto, però hanno migliorato le prospettive di alcuni partiti, come quello di Le Pen in Francia e Fratelli d’Italia da voi”. 

Come usano i soldi?

“Dipende dai paesi e dalle circostanze. L’utilizzo più facile sono i social media, per promuovere la loro narrativa. A volte i fondi vanno ai partiti in Europa, o anche ai singoli politici, con pagamenti diretti oppure affari conclusi da compagnie russe che beneficiano questi politici, creando in loro un interesse diretto ad aiutare Mosca”.

Vede un collegamento tra la denuncia di Blinken e il fatto che tra dieci giorni in Italia si vota?

“Certo. C’è la preoccupazione che un governo di estrema destra in Italia sia più favorevole alla Russia. Ricordiamoci però che tra due mesi ci sono le midterm negli Usa, e i democratici vogliono ricordare ai nostri cittadini che quanto sentiranno durante la campagna elettorale potrebbe essere ispirato o promosso da Mosca”.

Davvero l’allarme riguarda anche Fratelli d’Italia?

“Non ho prove dirette personali, ma è un ritornello costante che c’è stata qualche assistenza. Se guarda bene la loro linea politica, alcuni aspetti riflettono le posizioni russe”.

Si riferisce a Fratelli d’Italia o alla Lega?

“La Lega è in circolazione da parecchio tempo ed era noto che riflettesse le prospettive russe. FdI è una formazione più recente, anche se erede di altri partiti, ed è cresciuta in maniera straordinaria nell’ultimo anno. Ciò obbliga a porsi domande su quali sono le fonti dei loro finanziamenti, delle posizioni prese e dell’aumento della popolarità”.

Loro dicono che sono atlantisti e resteranno fermi nel sostegno all’Ucraina. Teme che sia solo una mossa elettorale?

“Non lo sappiamo, perché finora non hanno mai guidato il governo e non possiamo prevedere come reagiranno. È vero che negli ultimi tempi hanno detto le cose giuste e se andranno al potere dovremmo incoraggiarli anche a farle. Però come si comporteranno davvero è un’incognita”.

Vale anche per la Lega?

“Sì, ma in questo caso qui ci sono le prove quanto meno delle discussioni avvenute sui finanziamenti”.

Si riferisce alle conversazioni di Savoini al Metropol?

“Certo”.

E sospetta anche di Forza Italia?

“Sì. È interessante che Berlusconi non fosse così filo russo, quando aveva fatto il premier la prima e la seconda volta, ma alla terza è completamente cambiato”.

Perché?

“Ha sviluppato uno stretto rapporto personale con Putin, e forti relazioni di business con la Russia”.

Come giudica gli sviluppi militari in Ucraina?

“Sapevamo che l’apparato militare russo era esausto. Kiev ora ha armi migliori, più precise e di lunga gittata, e le sta usando bene. La controffensiva continuerà”.

Perciò Putin cerca di usare le influenze politiche?

“Certo. Sta perdendo militarmente e soffrendo sul piano economico. Quindi deve usare i canali della disinformazione per dare l’impressione che le cose vadano meglio della realtà e dividere gli occidentali come ultima arma. Ma non ci riuscirà”.

CACCIA AI NOMI DEI POLITICI ITALIANI

(Tommaso Ciriaco, Giuliano Foschini – repubblica.it) – Palazzo Chigi sa che il rapporto esiste. E lo sa perché glielo hanno comunicato gli americani, sollecitati dall’intelligence italiana. Sulla lista dei Paesi coinvolti e sui nomi dei leader che hanno ricevuto finanziamenti da Mosca, però, la partita è assai più intricata. Perché Roma ha chiesto a Washington se l’Italia è parte del dossier e l’identità degli eventuali politici finiti nella rete.

L’ha fatto con una pressione crescente, a partire da metà giornata. Attraverso tutti i canali a disposizione, dunque di intelligence e diplomatici. Ma gli Stati Uniti hanno opposto risposte vaghe, ragionamenti ancora generici. Una riservatezza che significa soltanto una cosa: c’è una operazione in corso, siamo noi ad avere in mano il pallino, intendiamo mantenerlo e preferiamo farlo senza interferenze.

Che sia una bomba è ormai chiaro a tutti i livelli politici e istituzionali. La caccia ai nomi sarebbe già di per sé capace di stravolgere equilibri e bruciare carriere politiche. Ma il fatto che un potenziale scandalo di questa portata prometta di diventare pubblico a undici giorni dalle elezioni politiche rende la materia letteralmente esplosiva. Lo sa Mario Draghi, che viene necessariamente investito della gestione di questo caso. E ne sono consapevoli i vertici dei Servizi, che diventano per mezza giornata protagonisti di un ping pong di contatti con gli interlocutori americani depositari della linea e delle informazioni dell’amministrazione Usa.

Una volta uscita la notizia, l’Italia chiede conto tramite i canali ufficiali di intelligence della veridicità della notizia e dei dettagli. In un primo momento, gli americani in Italia rispondono di non essere a conoscenza di nulla e di non aver ricevuto comunicazioni ufficiali da Washington. A breve giro, sono però in grado di confermare l’esistenza della lista. Sostenendo però di non essere capaci allo stato di aggiungere ulteriori elementi. Verità o soltanto strategia? Questo sarà più chiaro nei prossimi giorni.

Il fatto che sia soltanto Washington ad avere in mano il quadro completo, poi, suggerisce un ulteriore scenario: è più probabile che i nomi escano prima da fonti americane che da canali italiani ufficiali. O che magari vengano rilanciati dai media statunitensi. E questo non soltanto perché gli Stati Uniti detengono il potere di queste delicatissime informazioni, ma anche perché in questo modo eviterebbero al governo italiano la scomoda posizione di dover decidere se e come intervenire nel dibattito elettorale, a pochi giorni dall’apertura delle urne.

Eppure, il tema dell’eventuale divulgazione esiste ed è ben presente a Palazzo Chigi. In queste ore ai vertici del governo e dell’intelligence la prudenza è massima. Fonti assicurano che, se necessario, la pubblicazione dell’identità di leader italiani coinvolti nello scandalo dei finanziamenti russi verrebbe gestita ponderando opportunità e urgenza.

Teorizzando questi due pilastri, l’esecutivo dimostra di prendere molto sul serio la questione, soprattutto in vista del 25 settembre. Talmente sul serio che ai vertici del governo è stata già impostata una potenziale road map. Tecnicamente, la via più dritta sembra quella di investire il Copasir, vale a dire la commissione che vigila sui Servizi. L’intelligence può infatti comunicare in quella sede al Parlamento i dettagli eventualmente ricevuti dal Paese alleato. Non è però una scelta già assunta, perché come rilevano le stesse fonti esiste un margine di discrezionalità che è prerogativa di Palazzo Chigi.

Prudenza, dunque. Ma anche grande agitazione e interesse. Il tema dell’influenza di Mosca sulla politica italiana tiene vivo lo scontro della campagna elettorale. E il nodo dei rapporti tra i russi e Matteo Salvini era stato sollevato pochi giorni fa su Repubblica da un’ex analista della Cia, Julia Friedlander, ai tempi di Trump consigliere per l’Europa nell’Office of Terrorism and Financial Intelligence del dipartimento al Tesoro e dal 2017 al 2019 Director for European Union, Southern Europen and Economic Affairs al Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Ieri, in serata, la minaccia del Carroccio di querelare chiunque associ il nome della Lega a questa vicenda.

La partita si preannuncia durissima. Ed è appena cominciata.