IL PREMIER AL MEETING – Benedizioni. Con la platea di Cl rivendica: ho guidato il governo seguendo “l’unità d’intenti, il dialogo e la coesione sociale”. “Ah, però è basso”. C’è ancora curiosità, oltre a un livello alto di entusiasmo nella platea del Meeting di Rimini che accoglie Mario Draghi con standing ovation, lo convince a fare selfie […]

(DI WANDA MARRA – Il Fatto Quotidiano) – “Ah, però è basso”. C’è ancora curiosità, oltre a un livello alto di entusiasmo nella platea del Meeting di Rimini che accoglie Mario Draghi con standing ovation, lo convince a fare selfie, puntellando di applausi il suo discorso. Due anni fa era partita da qui l’onda che lo aveva portato a sostituire Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. E il premier sceglie lo stesso palcoscenico per uno degli ultimi discorsi pubblici. Eppure quella curiosità è a suo modo rivelatrice. Più che una fine, sembra una ripartenza.

Arrivato sul palco, l’ex Bce quasi si commuove, mentre ringrazia per l’accoglienza “non scontata” prima di passare alla parte “più formale” di quella che chiama la “nostra conversazione”, ma in realtà è un discorso. Curatissimo anche nei toni.

Sparita la rabbia, gli accenti accusatori, i nervi scoperti dell’ultimo periodo, quello che si presenta a Rimini (e all’Italia) è un Draghi depurato, pronto a rileggere l’esperienza di governo in chiave positiva (per non dire trionfalistica), a offrirsi come risorsa della Repubblica numero uno, garante dell’“unità nazionale”, che per un anno e mezzo ha interpretato a Palazzo Chigi e che potrebbe in un futuro prossimo interpretare in altro modo. Magari al Quirinale, obiettivo malamente fallito a gennaio, ma a tratti ancora vagheggiato.

E dunque, il premier parte proprio ricordando il suo discorso dell’agosto 2020, in cui – ammette a posteriori – delineò le idee che avrebbero guidato la sua azione di governo. Così come non ha remore nel ricordare lo “scetticismo” in Italia e all’estero rispetto al Pnnr. Rivendica di aver portato il Paese fuori dalla pandemia e di aver smentito quello scetticismo. E soprattutto rivendica un “metodo” nell’aver cercato sempre “l’unità d’intenti, il dialogo, la coesione sociale”. Poi, l’invito a tutti ad andare a votare e il messaggio: “L’Italia ce la farà anche questa volta”, qualunque sia “il colore politico” di chi governa. Un passaggio non scontato che, insieme a quello in cui riconosce al “maggior partito di opposizione” (Fratelli d’Italia) di aver sostenuto con la maggioranza una posizione netta “al fianco del popolo ucraino” appare una legittimazione quasi esplicita di Giorgia Meloni. Perché nei palazzi della politica si pensa già al dopo. E se Sergio Mattarella è pronto a condizionare la scelta per alcuni dicasteri (Tesoro, Difesa, Viminale, Farnesina) in caso di vittoria della leader di Fdi, Draghi non le ha mai fatto mancare il confronto. Tanto è vero che proprio lei non avrebbe visto male un’elezione dell’ex Bce al Colle. Proprio grazie all’asse con “Giorgia” e alla posizione di riequilibrio rispetto all’estero Draghi potrebbe riprovarci (dimissioni di Mattarella per questo scenario, necessarie).

Intanto, anche da premier dimissionario i dossier da gestire non sono banali. Una lunga parte del discorso di ieri è dedicata all’energia. Draghi accenna al prossimo Consiglio europeo, che dovrà discutere del tetto al prezzo del gas (scarsissime possibilità di approvarlo) ma anche la proposta della Commissione di slegare l’energia elettrica da quella del gas. Con ogni probabilità sarà ancora lui a rappresentare l’Italia in quel vertice, a fine ottobre. Per quel che riguarda l’Italia, il dossier è allo studio, neanche il razionamento è escluso.

Dedica un capitolo del suo discorso alle tasse. Rivendica quella sugli extraprofitti delle imprese del settore energetico. E ribadisce la necessità della riforma del catasto, sulla quale più volte l’esecutivo è andato in crisi. La frecciatina a Matteo Salvini è evidente quando chiarisce che non bisogna “incoraggiare” l’evasione fiscale.

Sembra un monito, il ricordare che l’Italia è collocata saldamente al centro dell’Europa e ancorata al Patto atlantico e non deve accarezzare tentazioni “isolazioniste” o “protezioniste”. Pure se si schernisce rispetto a chi gli chiede di “descrivere la sua agenda” come un programma di governo, derubricando a “principi” e a “un metodo”, perché la parola è agli elettori, in realtà delinea una griglia e dei paletti pure per il prossimo esecutivo. La passerella per uscire dalla Fiera è talmente riuscita, che il premier acconsente alla foto di gruppo con i volontari. “Grazie Mario”, si sente ripetere. La Meloni, pur accolta bene il giorno prima, al confronto sembra tanto una comparsa.