Da tempo mi batto per un dialogo costruttivo tra i 5Stelle di Giuseppe Conte, la sinistra di Nicola Fratoianni e i verdi di Angelo Bonelli. Sono queste le sole forze politiche esplicitamente, coerentemente impegnate nella lotta alla precarietà e nella difesa […]

(DI DOMENICO DE MASI – Il Fatto Quotidiano) – Da tempo mi batto per un dialogo costruttivo tra i 5Stelle di Giuseppe Conte, la sinistra di Nicola Fratoianni e i verdi di Angelo Bonelli. Sono queste le sole forze politiche esplicitamente, coerentemente impegnate nella lotta alla precarietà e nella difesa dell’ambiente. Le uniche che, di fatto, possono essere considerate “di sinistra” in un contesto politico dove la sinistra rischia di sparire. Nelle prime elezioni repubblicane che risalgono al 1948, la sinistra era rappresentata in tutte le sue sfumature da tre solidi partiti (Pci, Psi, Psdi) mentre la destra era pressoché inesistente. A 74 anni di distanza, il 25 settembre prossimo, si rischia di avere tre partiti di destra e nessuno di sinistra. Inoltre, se l’ammucchiata di centro affastellasse da Fratoianni alla Gelmini, molti elettori di sinistra, disorientati e privi di un chiaro partito di riferimento, sarebbero indotti a non votare affatto, finendo così per avvantaggiare la Meloni. L’affinità tra il Movimento, la Sinistra e i Verdi è dimostrata dai loro comportamenti posti in atto negli ultimi anni, dai documenti ufficiali e dalle dichiarazioni recenti. “Metteremo al centro i giovani, le donne, i ceti medi impoveriti, le partite Iva” ha detto Conte in una intervista del 30 luglio a questo giornale, in cui prometteva “intransigenza per la legalità e la giustizia sociale”. Conte ha definito “sociale ed ecologica” la sua agenda. Bonelli, che ha parlato di “giustizia sociale e climatica”, ha a suo merito, oltre alla lunga militanza ecologica, l’emendamento del 2007 per la ri-nazionalizzazione delle risorse idriche e i coraggiosi esposti su Forza Nuova alle procure di Milano e di Roma. A sua volta Fratoianni può vantare una caparbia estraneità al governo Draghi, le lotte per proletari, sottoproletari e immigrati, l’opposizione a ogni aumento delle spese militari. Luciana Castellina ha gridato che “bisogna dare risposte alla domanda di un pezzo di società che non arriva a fine mese e alle aspettative dei giovani” e che occorre aggregare tutti i gruppi nati a sinistra del Pd. Giustamente Alessandra Todde, vicepresidente di Conte, ha dichiarato al Corriere del 4 agosto: “Con Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni abbiamo molti temi in comune e, se ci si incontrerà sul programma, credo che sarebbe cosa giusta provare a costruire un percorso”. Cosa ostacola questo percorso, che può assumere varie sfumature organizzative? Nell’intervista del 30 luglio, alla domanda “Lei però cerca uno spazio a sinistra del Pd?”, Conte rispondeva: “Più che una collocazione a sinistra il nostro sarà un campo giusto” nato per dare voce a “coloro che non sono nella cerchia dei privilegiati”. Ma cosa è questa se non “sinistra”? In realtà, l’unico spazio elettorale per Conte e il suo partito è costituito proprio da quei 12 milioni di precari che il deciso spostamento al centro del Pd lascia senza voce. Dunque, per il Movimento, non c’è altro spazio che a sinistra di “Progressisti e Democratici”, che hanno smarrito la memoria di Gramsci e di Berlinguer e tra i quali, come possibili, incerti interlocutori con la sinistra, restano solo Orlando, Misiani, Rossomando, Provenzano e pochi altri. Se Sinistra e Verdi si alleassero ai 5Stelle, questi preciserebbero la loro identità e si scrollerebbero di dosso la persistente accusa di populismo, mentre i tanti orfani della sinistra, invece di disperdersi o astenersi, avrebbero una casa comune in cui confluire. A questo punto si potrebbe anche fare, da posizione di forza, un accordo tecnico con il Pd per i soli collegi uninominali, nella speranza di battere la destra. Se poi questa uscisse vincente dalle elezioni imminenti, il percorso comune del gruppo socialmente impegnato comporterebbe fino alle successive elezioni una duplice azione ben pianificata. Da una parte, la seria opposizione al governo sovranista che resterebbe accollata al Movimento e ai suoi alleati, ancora capaci – a differenza del Pd costituzionalmente “governativo” – di praticare la radicalità necessaria ai perdenti per riconquistare la guida della democrazia. Dall’altra, anni di lavoro teorico e pratico per dare alla compagine di sinistra un paradigma adeguato alla complessità postindustriale e un’organizzazione capace di metterlo in forma. Se, in 74 anni, la sinistra ha prodotto la sua autodistruzione, contrabbandando la socialdemocrazia con il neoliberismo, è perché ha rinunciato alla sua competenza politica, non meno rigorosa di ogni altra competenza scientifica, fatta di studio, riflessione, ricerca, sperimentazione, coerenza e coraggio. Scrollerebbe dalle spalle del Movimento la persistente accusa di populismo. Persino un commentatore raffinato come Antonio Polito, mercoledì scorso, semplificando il raggiunto accordo tra Letta e Calenda, ricorreva a uno stereotipo tanto astuto quanto confusivo: “Ora i cittadini – scriveva Polito – avranno una scelta abbastanza chiara tra un polo di destra-centro a trazione Meloni, uno di centro-e-sinistra a trazione Letta-Calenda, e uno populista a guida Conte”. Per Meloni, Letta e Calenda una connotazione spaziale e avalutativa; per Conte un marchio offensivo.