In che misura l’appellocrazia può contare più del voto? Proviamo a spiegare. In queste ore si moltiplicano le invocazioni per convincere Mario Draghi a non lasciare Palazzo Chigi. La petizione sottoscritta da mille sindaci, anche di centrodestra. Le pressioni della […]

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – In che misura l’appellocrazia può contare più del voto? Proviamo a spiegare. In queste ore si moltiplicano le invocazioni per convincere Mario Draghi a non lasciare Palazzo Chigi. La petizione sottoscritta da mille sindaci, anche di centrodestra. Le pressioni della Confindustria, locale (Puglia, Romagna, Assolombarda) e nazionale. Dei sindacati, perfino da parte del brusco Maurizio Landini per un governo “nel pieno delle sue funzioni per rispondere ai problemi delle persone”. E poi, medici, infermieri e titolari di farmacie, addetti alla logistica, armatori e camionisti: tutti imploranti SuperMario resta con noi. E poi, le suppliche della società civile, veicolate dalle firme più prestigiose: Natalia Aspesi ed Evelina Christillin su Repubblica e, particolarmente accorato, il messaggio di Antonio Scurati sul Corriere della Sera (“ Caro presidente, ecco perché non deve mollare”). Determinanti, ovviamente, le pressioni del G7, tra cui spiccano Biden, Macron, Scholz, Von der Leyen. Senza contare la grande finanza internazionale che, ovvio, si sarà fatta sentire con il supergarante del superdebito italiano.

Primo: è un elenco forse senza precedenti nella storia delle democrazie europee, e dunque da prendere molto sul serio. Secondo: non sappiamo se e come questa vigorosa spinta circolare sarà accolta dal diretto interessato. Sappiamo però che nel caso di una sua risposta positiva renderà, di fatto, inutilizzabile la richiesta di elezioni anticipate avanzata da Giorgia Meloni. Domanda: mercoledì, se il premier dovesse ritirare le dimissioni, quanto questa sua decisione dipenderebbe dalla rinnovata fiducia del Parlamento? E quanto sarebbe invece la diretta conseguenza della insistente spinta di cui sopra, visto che quella stessa fiducia gli è stata votata, giovedì scorso, e in forma larghissima? È un quesito che si potrebbe riproporre quando, prima o poi, il Paese sarà chiamato a rinnovare le Camere. Nel caso, una volta aperte le urne, si formasse subito una maggioranza di governo chiara e netta, nulla quaestio. Se, invece, i risultati non fossero così chiari e netti, chi potrebbe impedire una ri-chiamata di Mario Draghi a furor di petizioni? Infatti, i voti contano ma gli appelli pesano.