Lo strappo. L’ex capo rompe, lancia i gruppi “Insieme per il futuro” e accusa: “Irresponsabile chi piccona il governo”. È scissione. L’addio, al Movimento per cui è stato tutto: vicepresidente della Camera, candidato premier, capo politico, ministro, simbolo negativo da offendere in modi meschini – “bibitaro” – ma pure professionista […]

(DI LUCA DE CAROLIS – Il Fatto Quotidiano) – È scissione. L’addio, al Movimento per cui è stato tutto: vicepresidente della Camera, candidato premier, capo politico, ministro, simbolo negativo da offendere in modi meschini – “bibitaro” – ma pure professionista da riabilitare in era draghiana, il 5Stelle più talentuoso e spregiudicato. L’uomo che è stato ed è tutto questo, Luigi Di Maio, se ne va. Si porta dietro oltre 60 parlamentari, 51 deputati e 11 senatori, nei gruppi battezzati “Insieme per il futuro”. Quasi tutti stipati in un albergo nel centro di Roma, alle 21 abbondanti, in piedi ad applaudire il capo che davanti a un microfono giustifica la sua scelta: “Oggi sono finite tutte le ambiguità, di fronte alle atrocità in Ucraina dovevamo scegliere, così lasciamo quella che da oggi non è più la prima forza politica”. Parte così la conferenza stampa senza domande, con l’anatema per il nemico, Giuseppe Conte, e il M5S “ambiguo in politica estera”.

È la narrazione – me ne vado per salvare il governo atlantista – che aveva spiegato pochi minuti al presidente della Repubblica Mattarella, al Quirinale. Il bollo istituzionale al terremoto politico. “È da irresponsabili picconare il governo per pochi punti di consenso, hanno minato il lavoro del premier e del ministro degli Esteri, ma la guerra non è un show mediatico” accusa l’ex grillino. Il suo è uno scisma istituzionale, giura: “Sostenere i valori atlantisti non è una colpa, ma contro alcuni di noi c’è stata un’escalation”. Ostenta commozione: “È stata una scelta sofferta che non avrei mai pensato di fare, ma uno non vale l’altro, nel nostro progetto non ci saranno populismi o sovranismi” . Maledice il comandamento di una vita, l’uno vale uno, e dimentica di aver cercato i gilet gialli. Tanto ora se ne è andato. Un passo che aveva deciso lunedì notte, in una riunione di guerra in streaming con i fedelissimi, ufficialmente convocata perché era “offeso” per gli attacchi di Roberto Fico. Ma il ministro la preparava da settimane la mossa, di cui aveva informato per filo e per segno Palazzo Chigi. Pronto alla guerra finale a Conte, a cui in poche ore ha tolto decine di eletti e altri ne toglierà, in Parlamento come nei territori, per sottrargli peso, risorse, insomma ossigeno. “Ne parlavamo da almeno una settimana” butta lì dentro Palazzo Madama la senatrice neo-dimaiana Simona Nocerino.

Poco più in là gli emissari di Di Maio, il deputato Luigi Iovino, lo storico amico e collaboratore Dario De Falco. Convincono i dubbiosi. “Siamo noi il Movimento”, scandisce Iovino. In buvette, il senatore Vincenzo Presutto: “Siamo già 11”. Mentre alla Camera passano il guado a decine, nel giorno della risoluzione sulle comunicazioni di Mario Draghi. “Di Maio sperava che non l’avremmo votata, e invece gli è andata male” sibilano i contiani, rimasti sotto lo stendardo mai così lacerato dei 5Stelle. Accusano l’ex capo di aver fatto di tutto per far saltare il banco della trattativa e spingere Conte a uscire dalla maggioranza, così da spiegare il suo addio ai 5Stelle “anti-Nato e anti-Ue”. Non è successo. Ma Di Maio non poteva più fermarsi. Aveva già fatto il pieno di presidenti di commissione e veterani. Ne cerca altri. Davano per reclutato anche il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. Ma lui al Fatto nega : “Ogni settimana succede qualcosa, ma noi dovremmo semplificare le cose”. Si vuole trasferire al Misto. Ma ieri Conte gli ha telefonato, e rifletterà. I dimaiani puntano altri maggiorenti. Come il capogruppo alla Camera, Davide Crippa, sicuramente scontento. “Diteci se volete uscire dal governo”, ha ripetuto nel Consiglio nazionale di ieri. Poi c’è Alfonso Bonafede, l’ex Guardasigilli, l’uomo che ha portato Conte nel M5S.

Alla Camera mostra un volto tiratissimo, non parla. Chi lo conosce ricorda che “Alfonso ha provato per mesi a predicare unità e a ricompattare”. Ma dove vuole arrivare la scissione di Di Maio? Un parlamentare di sicura fede racconta: “L’obiettivo è costruire un contenitore politico a settembre, aperto”. A chi, al sindaco di Milano Sala? “Lui è un interlocutore, Calenda e Renzi no”. Altri nomi? “Vediamo. Ci stanno chiamando da altri partiti, ma per ora aspettiamo”. Lui, il capo, precisa: “Partiremo dagli amministratori locali”. Nell’attesa, Alessandro Di Battista lo morde: “Insieme per il futuro, ovviamente è quello di Luigi”. L’ex deputato potrebbe rientrare nel M5S, ma solo se uscisse dal governo Draghi. Di Maio ha altre idee: “Facciamo parte del governo e continueremo a farlo”. Eccome.