(Massimo Gramellini – corriere.it) – Ma alla sua età — con tutto quello che ha, che è e che crede di essere — dove trova ancora la voglia di mettersi in braghette blu davanti a una telecamera per polemizzare con i pizzaioli napoletani che lo hanno criticato?

Flavio Briatore è fonte continua di stupefazioni. Non è solo l’idea di un cuneese che pretende di insegnare i segreti della pizza a chi l’ha inventata, come se un napoletano spiegasse ai Ferrero in che modo si impasta il cioccolato con le nocciole. È la sua tigna che spiazza tutti coloro che, come me, aderiscono alla scuola andreottiana della resistenza passiva, secondo cui rispondere a una provocazione significa alimentarla, specie nell’era social dove ogni polemica si scarica con la rapidità di un acquazzone: basta mettersi al riparo e aspettare in silenzio che passi.

Briatore non aspetta un bel niente e, se prende l’ombrello, non è per proteggersi, ma per tirartelo addosso.

Essendo un venditore fenomenale di status symbol, con la sua nuova catena di cibo povero & patinato ha reso felice tanta gente che non vedeva l’ora di spendere 65 euro per una pizza al prosciutto Pata Negra. Eppure, non gli basta.

Vuole che i pizzaioli napoletani che lo contestano, e intanto (unici al mondo) si ostinano a vendere le loro margherite a 4 euro, ammettano di usare pomodori marci e farina di cemento armato. Ma chi glielo fa fare?

Lo dico con tutto il rispetto dovuto a uno dei due imprenditori più famosi d’Italia. L’altro è Vacchi. Almeno Briatore è un Vacchi che lavora.