A bloccare la nomina a ministro della Giustizia di Nicola Gratteri del governo Renzi nel 2014 fu il Quirinale ma un ruolo di primo piano lo ebbe anche Giuseppe Pignatone, già procuratore capo di Roma e oggi presidente del Tribunale Vaticano […]

(DI ILARIA PROIETTI – Il Fatto Quotidiano) – A bloccare la nomina a ministro della Giustizia di Nicola Gratteri del governo Renzi nel 2014 fu il Quirinale ma un ruolo di primo piano lo ebbe anche Giuseppe Pignatone, già procuratore capo di Roma e oggi presidente del Tribunale Vaticano. Lo ha rivelato Matteo Renzi che, intervistato da Report in onda questa sera su Raitre alle 21.20, fa luce su uno degli episodi più controversi della storia recente: “ll presidente Napolitano, con le sue motivazioni, decise di non nominare Nicola Gratteri, ministro di Giustizia. Che siano intervenuti i magistrati, penso di poterlo chiarire: se lei mi domanda di Pignatone, le dico di sì perché è un nome che mi è stato riferito nel corso dei miei colloqui al Quirinale” ha spiegato Renzi che si è si soffermato anche su un altro episodio che lo ha visto protagonista quando era presidente del Consiglio: l’incontro avvenuto nella primavera-estate del 2014 in una saletta riservata di un aeroporto di Malpensa con l’allora procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati, proprio lo stesso periodo in cui ad Alfredo Robledo veniva revocata l’indagine sul mega appalto per la piastra di Expo in odore di combine.

“Questa è una vicenda che riguarda la Procura di Milano, della quale io non ho alcuna notizia” commenta Renzi che nega di aver chiesto a Bruti Liberati di rimandare, sospendere o bloccare le inchieste. E che spiega così perché ringraziò il procuratore capo dopo il successo di Expo. “Se hai una situazione nella quale si rischia di bloccare tutto, un grande evento internazionale che salva l’immagine di Milano e dell’Italia nel mondo hai delle persone che lavorano nel rispetto istituzionale, come fa la Procura di Milano, come fa il Dagl, come fa l’Anac, io da presidente del Consiglio dico grazie”. Una vicenda su cui Giorgio Mottola di Report ha sentito anche gli altri protagonisti. “Io non voglio intervenire su quelle dichiarazioni. Ci sono le chiacchiere e ci sono i fatti. È stato fatto tutto senza polveroni, ma intervenendo in tempo utile perché questo evento importante avesse i risultati che poi ha avuto” ha spiegato Bruti Liberati che invece non ha voluto rispondere alla domanda se all’epoca rispetto alle inchieste su Expo ci fossero state pressioni da parte dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Per Alfredo Robledo i ringraziamenti formulati da Renzi per un contributo non meglio definito dato dalla Procura di Milano al successo dell’Expo sono stati invece la conferma di quello che era più di un sospetto. “ Diciamo che era la prova di un intervento forte della politica sul procuratore della Repubblica Bruti, per far sì che non vi fossero intralci giudiziari, quindi delle inchieste, su Expo in particolare”. Robledo che nel 2014 aveva iniziato un’indagine molto promettente sull’appalto da 140 milioni di euro per la piastra di Expo, assegnata al colosso Mantovani Spa con un ribasso record del 40 per cento, venne spostato all’ufficio esecuzioni penali e le indagini secondarie su Expo non porteranno a nessun provvedimento sul mega appalto della Mantovani Spa, azienda che due anni dopo finirà al centro dello scandalo Mose per le mazzette pagate a politici di tutti gli schieramenti. La revoca dell’indagine a Robledo fu possibile grazie alla riforma Castelli-Mastella che ha attribuito al procuratore capo potere di intervenire nelle indagini dei propri pm. Secondo Report per effetto di quella norma dal 2005 ad oggi si è registrato un calo verticale delle condanne: per il reato di concussione, che riguarda chi fa pressioni per ottenere una mazzetta, le condanne definitive sono scese da 110 a 9 con una diminuzione del 91 per cento. Mentre per la corruzione sono calate da 248 a 90 (-63 per cento), mentre invece per voto di scambio politico mafioso in 16 anni ci sono stati solo 15 politici condannati in via definitiva. E la riforma Cartabia varata dal governo dei “Migliori” di Mario Draghi rischia di fare addirittura peggio: sarà il Parlamento a indicare al procuratore capo quali reati dovrà perseguire in modo più urgente.

Con “un vulnus, al principio sacro della separazione dei poteri. Questa riforma disegna un sistema che limita l’autonomia non solo dei singoli magistrati ma anche della magistratura, soprattutto delle Procure che costituiscono il cuore nevralgico dell’azione penale” spiega il consigliere del Csm Nino Di Matteo. Ma non è tutto. Sempre intervistato da Report Nicola Gratteri prevede che la riforma Cartabia, “la peggiore riforma della storia”, con l’introduzione della improcedibilità (il processo d’appello potrà durare al massimo due anni e quello di Cassazione 12 mesi: superato questo limite, il procedimento decade) farà evaporare i processi. Quelli per “gli omicidi colposi, quindi gli incidenti sul lavoro, su cui tutti si riempiono la bocca dal presidente della Repubblica, tutti i processi in materia di inquinamento, nonostante questo governo ha dedicato un ministero alla transizione ecologica, per tacere dei reati contro la pubblica come corruzione, concussione, peculato. Il 50 per cento di tutti questi processi in appello non si celebrerà”.

Mentre con la Cartabia resterà intatto il potere delle correnti per nulla scalfito dalla riforma del sistema elettorale del Csm in corso di approvazione al Senato: per Gratteri fresco di bocciatura da parte di Palazzo dei Marescialli per il posto di Procuratore nazionale antimafia, la nuova legge “è se possibile peggio di quella attuale. Crea un sistema dove già si può prevedere già quanti candidati prenderà una corrente, quanti un’altra, quanti un’altra. Il problema va risolto alla radice: la mamma di tutte le riforme è quella del Csm, bisogna arrivare al sorteggio”.