(Giuseppe Di Maio) – Bisogna stare attenti quando si fa una legge: ad ogni garanzia, affrancamento, emancipazione, potrebbe corrispondere una severa limitazione di libertà e di giustizia. D’altronde non viviamo in una società naturale e le regole non possono essere solo di carattere morale. Ma pretendere che la propria libertà guarisca automaticamente le storture che le altre generano è una piissima illusione. Bisogna marcare esplicitamente il confine della propria discrezionalità; bisogna sempre individuare gli obiettivi politici che giovano alla comunità e quelli che la danneggiano. Il caso dell’informazione è più di ogni altro emblematico della necessità di queste regole.

Marco Travaglio è una persona intelligente, senza dubbio è onesta intellettualmente, e di certo è onesto pure nella sua dimensione privata. Troppo spesso le due qualità sono fatalmente combinate. Lui è convinto che la menzogna si combatta con la verità, che le fake si smascherino con il probo lavoro dei giornalisti. Insomma, proprio come se il giornalismo fosse uno dei doveri della filosofia: denuncia la contraddizione, svela gli inganni del potere e la sua iniquità. L’informazione così darebbe agli abusi la massima pubblicità, di modo che ognuno possa valutare per conto proprio, cioè, ogni cosa sembrerebbe approntata come se la verità fosse una delle opzioni offerte all’individuo. Ma come ci si regola se questo individuo è il cittadino, se da lui dipende la formazione della volontà generale e perciò il bene comune?

Io non credo sia sufficiente la semplice esposizione dei propri fatti e delle proprie logiche, poiché così facendo lasceremmo che la volontà generale (il giudizio politico) dipenda dalla percentuale delle voci in un senso o nell’altro, e con la disparità attuale dei mezzi d’informazione c’infileremmo in una dittatura mediatica senza via d’uscita. Per conto mio sono convinto che la verità non debba dipendere né dalla bravura degli operatori, né dal loro numero al servizio dell’una tesi o dell’altra. La verità deve potersi giovare di strumenti coercitivi sulla palese menzogna, che sanzioneranno giornalisti, testate e proprietari mentitori, con opportune censure, oscuramenti temporanei e definitivi, e ammende salate. Bisogna cioè impedire che le fake, le imprecisioni ad arte, e l’assenza di adeguate smentite possano creare un ambiente in cui si producano convinzioni manovrabili dall’interesse privato.

Naturalmente mi si contesterà che nessun tribunale potrà garantire la verità attraverso un giudizio, che i giudici stessi potranno essere al servizio di questa o di quella lobby. La mia pretesa non è giudicare ogni notizia, ma solo condannare adeguatamente quelle palesemente errate, mettendo in chiaro il loro legame con l’interesse a mentire. Insomma è anche possibile che un tribunale dichiari che Ruby sia la nipote di Mubarak, ma il discredito che gli deriverebbe per la sua funzione libera sarebbe molto maggiore di un Parlamento in fase di autodichia obbligato dagli interessi politici e persino da quelli di Stato.

E poi a me piace così perché non devo vendere giornali, non devo contare clik sul mio blog, e me ne frego dei like sulla mia pagina.