Un giorno, quando (forse) si rifletterà seriamente sulla inarrestabile fuga degli elettori dalle urne, si prenderanno come modelli respingenti i testi dei quesiti da votare il 12 giugno nei cinque referendum abrogativi sulla Giustizia […]

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – Un giorno, quando (forse) si rifletterà seriamente sulla inarrestabile fuga degli elettori dalle urne, si prenderanno come modelli respingenti i testi dei quesiti da votare il 12 giugno nei cinque referendum abrogativi sulla Giustizia. Quello, in particolare, sulla separazione delle carriere dei magistrati, sulla base della distinzione tra funzione giudicante e requirente (nella versione più sbarazzina) consta di un centinaio di righe che se scritte in aramaico sarebbero più comprensibili. Lo so, l’obiezione più scontata ogni volta che si vota per i referendum è: non si capisce una mazza. Lo sappiamo, soprattutto i Radicali che hanno promosso la consultazione (con la Lega) denunciano il forte deficit d’informazione che, a loro dire, potrebbe risultare alla base del paventato mancato quorum del 50,01 %. Può darsi, anche se nella storia referendaria i quesiti che meglio intercettavano la vita reale delle persone – dal divorzio all’aborto, al finanziamento pubblico dei partiti, al nucleare, per citare i più famosi – portarono ai seggi ampie maggioranze di cittadini. Conosco l’obiezione: la giustizia “ingiusta” ci riguarda tutti, ma la gente non lo sa perché è più comodo non farlo sapere. Lascio ogni considerazione sul merito dei quesiti a chi conosce la materia in profondità (trovo assai convincente l’analisi di Piercamillo Davigo pubblicata sul Fatto). Penso anche che il quorum su due No sonanti – il primo alle modifiche della legge Severino sulla incandidabilità dei condannati in via definitiva; il secondo alle limitazioni sulle misure cautelari – non potrebbero che rafforzare quel principio di legalità che si cerca di indebolire. Purtroppo, una battaglia persa in partenza resta quella del linguaggio della politica (e dunque anche delle schede volutamente incomprensibili). Che sembra costruito apposta come uno sfollagente per allontanare l’opinione pubblica dalla democrazia diretta e riservare il controllo delle istituzioni ai pochi sacerdoti e chierici delegati a ciò. In questi giorni si ricordano, per ragioni diverse, due protagonisti della Prima Repubblica: Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. Entrambi non trascinanti sul piano dell’eloquio eppure capaci di riempire le aule dei congressi e le piazze (soprattutto il secondo). Per la semplice ragione che dietro quei concetti, pure se legnosi e involuti, si coglieva comunque l’autenticità dell’impegno personale, e quindi del pensiero che li muoveva. Esattamente l’opposto di quanto avviene oggi.