(Alessandro Di Battista) – Ricordi commossi, aneddoti raccontati da chi neppure lo ha conosciuto, minuti di raccoglimento. Oggi Giovanni Falcone otterrà tutto questo. Sia chiaro, il fatto che a distanza di 30 anni dalla sua morte si ricordi (e mi riferisco al ricordo della pubblica opinione) un uomo come Falcone è meraviglioso. Ma il ricordo non basta. Il ricordo senza giustizia (e soprattutto trasformazione della memoria in azione) serve a poco. Chi finanziò l’organizzazione criminale che lo fece saltare in aria a Capaci è al governo del Paese. Basta questo per comprendere l’ipocrisia di certe commemorazioni. Ma c’è di più. Molto di più.

Falcone (e poi Borsellino) vennero assassinati su ordine dei boss dei corleonesi (chiaramente c’erano mandanti esterni alla mafia). Ebbene chi erano quei due boss? Totò Riina e Bernardo Provenzano. Ricordo che il covo di Riina non venne immediatamente perquisito dopo il suo arresto. E ricordo anche che Luigi Ilardo, un ex-mafioso che aveva deciso di schierarsi dalla parte dello Stato infiltrandosi in Cosa nostra, indicò più volte il luogo in cui si nascondeva Bernardo Provenzano eppure nessuno intervenne. In compenso Ilardo venne assassinato dalla mafia poco prima di diventare a tutti gli effetti collaboratore di giustizia.

Oggi noi sappiamo, grazie a Santino Di Matteo, un ex-affiliato del clan di Altofonte, che a premere il telecomando che azionò l’esplosione a Capaci fu Giovanni Brusca, boss di San Giuseppe Jato. Pensate, Santino iniziò a collaborare ad ottobre ’93. Il 23 novembre alcuni mafiosi travestiti da poliziotti rapirono il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di Santino e di Francesca Castellese. Il 14 dicembre del 1993 venne intercettata una conversazione tra loro due. Francesca Castellese suggeriva a Santino Di Matteo di non parlare degli “infiltrati” nella strage di via D’Amelio per salvare la vita del secondo figlio dato che il primo era stato rapito (poi venne assassinato). Santo Di Matteo, che aveva lasciato intendere di avere informazioni anche sulla morte di Borsellino e sugli “infiltrati”, non parlò più di via D’Amelio.

Pezzi dello Stato e servizi segreti deviati furono coinvolti nelle stragi e nella morte di magistrati eroici come Falcone e Borsellino. I depistaggi che hanno caratterizzato le indagini su via D’Amelio lo dimostrano.

Non basta, dunque, ricordare. Occorre pretendere verità. E se lo Stato non intende fornirla i cittadini devono andarsela a prendere. Giorno dopo giorno. Lo devono fare manifestando, studiando, evitando di votare chi preferisce comodi silenzi. Lo devono fare sostenendo i giudici antimafia, lo devono fare documentandosi. Lo devono fare impegnandosi a mettere insieme i pezzi.

Questo fanno i cittadini con la schiena dritta. Gli ipocriti minuti di silenzio lasciamoli alla politica.