Gli espertoni Nathalie Tocci, Andrea Gilli e Nona Mikelidze disertano «DiMartedì» contro la «disinformazione» degli ospiti filo zar. E anche il Pd invita i suoi a dare buca alle trasmissioni sgradite. Quando la propaganda non è quella «giusta» scatta l’Aventino televisivo.

(Francesco Borgonovo – laverita.info) – Mi si nota di più se vado o se non vado e poi faccio sapere a tutti che non sono andato? A quanto risulta, alcuni esperti di geopolitica hanno optato per la seconda ipotesi. Hanno declinato l’invito a partecipare a un talk show (DiMartedì condotto da Giovanni Floris su La7), quindi hanno deciso di informare gli italiani del loro gran rifiuto. Si tratta di Andrea Gilli, docente al Defence college della Nato, della politologa Nathalie Tocci e della ricercatrice georgiana Nona Mikelidze. Il motivo della defezione dal palcoscenico lo ha spiegato, in un articolo sulla Stampa, la stessa Tocci. «Non sono disposta a diventare complice della disinformazione e, in quanto tale, alimentare la guerra in corso, una guerra che si combatte tanto sul campo di battaglia quanto sul piano mediatico», ha scritto. «Ecco che quando ho saputo che tra gli invitati alla trasmissione ci sarebbe stata una propagandista che lavora per il ministero della Difesa russo ho tirato la linea. Grazie, ma no grazie». Già, fra gli ospiti di DiMartedì era prevista Nadana Fridrikson, che il professor Gilli definisce sdegnosamente «“giornalista” della tv del ministero della Difesa russo».

Insomma, se ci sono cronisti russi che sostengano le posizioni cosiddette putiniane, i nostri gallonati esperti rifiutano il confronto. La stessa cosa, dice Repubblica, sembrano intenzionati a fare anche molti esponenti del Pd. «Avrei da suggerire vari nomi di colleghi russi alle televisioni italiane che presentano analisi e opinioni diverse dalla mia, ma con cui esiste un vocabolario condiviso: i fatti», insiste la Tocci. «Non è questa la logica che anima la maggior parte della televisione italiana. Di questo ho preso atto». A suo dire, «nel formato del talk show invece, il conduttore non smaschera le bufale fattuali, non fa fact checking, bensì le presenta come opinioni che un altro “opinionista” è chiamato a contrastare, peraltro in pochi minuti. Falso e vero vengono messi sullo stesso piano, e la meglio la ha chi interrompe, urla e la butta più in caciara. La disinformazione vuole esattamente questo. L’obiettivo a cui mira è quello di presentare il falso come vero, ma ci si accontenta pure con l’inquinare il vero con il falso, insinuando il dubbio – attraverso la contrapposizione di “opinioni” – in ciò che è vero».

Ora, la Tocci ha ovviamente tutto il diritto di fare ciò che le pare, così come lo hanno i suoi colleghi. Il problema non è, infatti, la decisione di rompere il contratto per quattro puntate che pare avesse firmato con il programma di Giovanni Floris, ma la pretesa di stabilire chi debba parlare e chi no. Il meccanismo dei talk show è spostato e brutale, esprimere concetti è difficile e spesso faticoso. Ma il gioco – per quanto deprecabile – è molto chiaro. E smascherare l’eventuale propaganda non è certo un problema se si hanno argomentazioni solide e chiare: se si dice il vero non si ha nulla da temere.

Qui, invece, si pretende di imporre una e una sola prospettiva. Ci sono gli esperti che rifiutano con fastidio il confronto con i russi, ci sono gli zelanti custodi dell’informazione che fanno la morale a Giuseppe Brindisi per l’intervista a Sergej Lavrov, ci sono gli arzilli tromboni della morale che inveiscono contro Bianca Berlinguer, obbligandola a stracciare il contratto di Alessandro Orsini… Il punto non è la propaganda: è che non si vuole fare passare altro che la versione dei fatti ammessa dal pensiero prevalente. La Tocci chiede che non si metta in discussione «la verità», solo
che dove stia il vero lo stabilisce lei, di imperio. E così fanno tutti gli altri.

A rendere la situazione ancora più grottesca c’è il fatto che queste polemiche sulla onestà del sistema mediatico
avvengono in un contesto in cui i talk show sono già schierati unilateralmente sullo stesso fronte. Non esistono, per
intendersi, trasmissioni filorusse. Al massimo ce ne sono alcune che provano faticosamente a porre dubbi e a
smontare il racconto unilaterale, e per questo vanno incontro a pesanti contestazioni e attacchi (ne sa qualcosa, tra
gli altri, Mario Giordano). E non perché ospitino propaganda, ma perché non aderiscono al copione prestampato.

Prendiamo Brindisi. Il suo programma è entusiasticamente filo ucraino, così come in precedenza è stato
ferocemente schierato a favore del regime sanitario. Gli ospiti (tra cui il sottoscritto, inutile girarci intorno) che
esponevano punti di vista appena differenti venivano di frequente zittiti, contraddetti con una foga al limite dell’insulto, accerchiati. Qualcuno si è forse lamentato, allora, della correttezza del dibattito? Ovviamente no. Però Brindisi, non appena ha leggermente deviato dal sentierino tracciato dai «buoni» e dai «savi», è stato trattato quasi come i no vax che lui tanto detestava e ingiuriava. Il che è ridicolo e offensivo per l’intelligenza degli italiani.

Floris di certo non è stato meno allineato. Ma se chiama i russi, guai anche a lui. La Berlinguer diventa una reietta se invita Orsini, persino Michele Santoro viene preso a male parole. Paolo Del Debbio finisce sotto accusa per avere dato spazio a Vladimir Solovyev, anchorman «amico di Putin». Ebbene, se invece si limitasse a leggere le veline provenienti da Kiev o da Washington, di sicuro verrebbe applaudito, anche se la qualità dell’informazione ne uscirebbe danneggiata.

Chi in passato ha prodotto trasmissioni faziose, violente e scorrette è stato celebrato e premiato perché militava dalla parte giusta. Nessun intellettuale di riguardo ha firmato appelli o ha rifiutato ingaggi in nome della «verità». Adesso non è cambiato granché: la gran parte dei programmi resta faziosa e intollerante. Ma qualcuno vorrebbe che lo fosse ancora di più.

No, la colpa che viene rinfacciata oggi a vari conduttori non è quella di fare propaganda, ma di non fare la propaganda giusta.