(Massimo Gramellini – corriere.it) – Parecchi di coloro che contestano gli aiuti all’Ucraina ritengono irrilevante che in Russia ci sia un regime non democratico. Lo schema dialettico è ormai codificato. Si parte riconoscendo che Putin è l’aggressore, per evitare di essere bollati di connivenza. Poi però si passa subito a elencare le circostanze attenuanti: è stato accerchiato, è stato provocato. Dopodiché si nega l’eccezionalità del suo comportamento: le stragi delle squadracce putiniane, sempre che non siano state girate a Hollywood, le fanno anche gli ucraini e soprattutto le hanno sempre fatte gli americani. Analisti e commentatori si vantano di non lasciarsi ricattare dalle emozioni, ma ricorrono all’artificio retorico più emotivo che esista: il qualunquismo spacciato per complessità. Per loro tutte le guerre si assomigliano e tutti i sistemi politici si equivalgono, le democrazie sono mostruose come le dittature, anzi sono dittature mascherate, e la libertà è una finzione perché le nazioni sono mosse solo da interessi geopolitici e rapporti di forza. Ne consegue che, se i valori democratici sono carta straccia e contano solamente gli interessi, noi dovremmo accordarci con chi ha i nostri interessi (i russi) e staccarci da chi condivide i nostri valori (gli angloamericani).

Chissà se queste persone nel 1939 avrebbero saputo distinguere tra Hitler Churchill, tra Hitler Roosevelt, o se avrebbero ridotto la questione a un derby tra imperialismi, magari trovando più utile scendere a patti con quello nazista.