La cultura e la politica del nostro Paese non hanno voglia di pensare il Sud, di rimetterlo al centro dell’attenzione. Altrimenti non si spiegherebbe il silenzio che ha accolto l’uscita di Una profezia per l’Italia. Ritorno al Sud di Ernesto Galli della Loggia e Aldo Schiavone. […]

(GIANDOMENICO CRAPIS – Il Fatto Quotidiano) – Oramai il Mezzogiorno funziona solo come ambientazione di fiction, che a volte sembrano dei promo turistici e nulla più. Per il resto la cultura e la politica del nostro Paese non hanno voglia di pensare il Sud, di rimetterlo al centro dell’attenzione. Altrimenti non si spiegherebbe il silenzio che ha accolto l’uscita di Una profezia per l’Italia. Ritorno al Sud di Ernesto Galli della Loggia e Aldo Schiavone. Il saggio, di novembre, non ha trovato nel discorso pubblico lo spazio che meritava non solo per l’arrivo della quarta ondata. Eppure è ricco di stimoli, con un solido frame storico e pone domande urgenti. Il libro nasce da un viaggio nel Meridione perché, specie al Sud, “ci sono realtà di persone e di fatti che solo la vista, il contatto diretto possono far intendere” (vivaddio!); e chissà, si scrive, che le condizioni del Mezzogiorno non siano peggiorate proprio da quando la politica, il giornalismo e la cultura hanno smesso di frequentarlo. Più che tare antropologiche dietro una vera “regressione” ci sono concreti nodi storici che il presente ha reso più difficili da sciogliere. Come la scomparsa dei partiti che un tempo supplivano con le loro organizzazioni alle carenze dello Stato istituendo una “dimensione pubblica della vita per intere fasce della popolazione”. La loro crisi ha lasciato scoperti “tutti i nodi irrisolti della vita pubblica del Mezzogiorno” e ha eroso quelle solidarietà e appartenenze, anche di tipo ideologico, che avevano la virtù di guidare scelte, “bene o male, capaci di andare al di là del particolarismo e delle singole esistenze”. Insomma il venir meno del collante dei partiti al Sud, molto più che nel resto del Paese, secondo gli autori ha avuto effetti devastanti. Il libro non è tenero nei confronti di coloro che il Sud lo abitano, colpevoli di essere non di rado complici di un sistema che perpetua subalternità, familismo e incapacità di sviluppo. Come ha sintetizzato Pippo Callipo, noto imprenditore del tonno, convinto che le cose in Calabria vadano come vanno anche “perché ai calabresi gli piace così!”. Perché una parte del problema, diciamocelo, è che ai meridionali “gli piace così”: alla realtà difficile non rispondono con lotte collettive, ma con percorsi individuali di movimento, magari per “aggiustarsi” un personale tornaconto. Il vecchio “familismo amorale” sta ancora lì a (s)piegare il Sud. Né il regionalismo, di cui gli autori denunciano con veemenza il clamoroso fallimento, è mai riuscito ad avvicinare le due metà del Paese, se non in un breve frangente frutto dell’onda lunga del dopoguerra. Forse è arrivato il momento di ridiscutere la sciagurata modifica del Titolo V che nel 2000 ha peggiorato non di poco le cose, affermano i due studiosi, arciconvinti che si debba riassegnare allo Stato un ruolo più incisivo, soprattutto se ci sono risorse da spendere come quelle del Pnrr: “Che non siano i Comuni e le Regioni a farlo” scrivono Galli della Loggia e Schiavone, criticando anche lo scarso realismo del governo nel disporre il Recovery plan. Il guaio è che la criminalità da un lato e la crisi della democrazia dall’altro, rischiano di accelerare l’imbocco per il Sud di un vicolo cieco se non ci sarà un intervento forte dall’esterno: se lo Stato non decide una volta per tutte a “gettare tutto il proprio peso” nella lotta alle mafie e a investire. Dal 1950 al 2008 solo l’1% del Pil è stato investito al Sud, i tedeschi invece dopo il 1989 hanno impegnato il 4,5% del loro Pil per la ex Germania dell’Est. Tutto ciò sarebbe però inutile senza uno scatto della cultura e delle classi dirigenti meridionali, nel solco del meridionalismo dei Pasquale Villari, dei Salvemini, dei Croce. Un bel libro, insomma, che meriterebbe attenzione nel dibattito pubblico. Ma c’è ancora un dibattito pubblico?