La candidatura di Berlusconi non è solo irragionevole: è uno sfregio, una bestemmia, uno sputo sulla Repubblica. È il trionfo del nichilismo. Pochi dubbi che Renzi, in combutta con Verdini, lo voterebbe, se occorre; non perché ami Berlusconi, ma perché odia l’Italia, e di mestiere fa il guastatore[…]

(DI DANIELA RANIERI – Il Fatto Quotidiano) – A tutte le cose gravi a cui un italiano mediamente perbene ha da pensare – Covid, lavoro, vaccini, saturazione dell’ossigeno, malanni dei propri cari, eventualità della morte – adesso si è aggiunta quest’altra cosa, invero raccapricciante. L’ipotesi di Berlusconi al Quirinale, infiltratasi come una boutade nell’opinione pubblica rintronata dalla pandemia, si è fatta strada, si è solidificata, e ora, pur con qualche risata nervosa (come se non potesse avvenire per davvero), se ne parla seriamente, presentando i pro e i contro, come fosse ormai pienamente nel regno del concepibile. Soprattutto, rimuovendo psichiatricamente la voragine che la persona di Berlusconi ha aperto nel Paese, al di là della sua pedina penale e morale.

Si ha l’impressione di assistere a una catastrofe, a un crollo: innanzitutto di fiducia in chi ci dovrebbe rappresentare, che valuta uno sfregio simile come plausibile; di senso, persino, come se l’egemonia dello spettacolo grottesco, egotico e deresponsabilizzato che Berlusconi ha incarnato per trent’anni si fosse infine realizzata senza drammi.

Giornali che hanno passato un quarto di secolo a spiegarci quanto quel signore fosse un tipo da evitare, al massimo uno a cui chiedere conto di ragazzine di Casoria e candidature di escort, hanno cominciato a prenderlo sul serio già qualche anno fa. Tra foto patetiche di lui che coccolava cani e allattava un agnellino col biberon, gli si è cominciato a chiedere conto del “pericolo rappresentato dai grillini” (era il periodo del governo giallo-verde e del “meglio Berlusconi che Di Maio” di Scalfari). Così Forza Italia, accolita di miracolati costruita su misura delle esigenze finanziarie e penali del leader, diventò “argine al populismo”; fino ad ascendere al governo del Paese con Draghi, in quanto partito pieno di Migliori da far ministri e sottosegretari.

Oggi pullulano le interviste alle ossequiose nullità del suo partito-azienda, che si prendono la libertà di sbeffeggiare chi s’indigna per l’ipotesi che uno come Berlusconi possa comandare le Forze Armate e la magistratura, contro la quale il pregiudicato potrà esercitare la sua beffarda vendetta.

Il “perseguitato dalla Giustizia” ascende al discorso pubblico non per l’ennesimo processo o per vicende geriatriche, ma per il conteggio dei voti che lo porterebbero alla carica più alta; privo di disciplina e onore come pochi, delinquente naturale, finanziatore della mafia, frodatore dello Stato, utilizzatore finale di prostitute che lo ricattavano, corruttore di giudici e di agenti della Finanza, senatore decaduto e pluri-prescritto: “la figura più adatta” per il Quirinale, secondo Meloni e Salvini. I quali ammettono implicitamente il loro fallimento: non riescono a tirare fuori un nome dignitoso dalla pletora di loro parlamentari perché sono circondati da incapaci, a capo di partiti personali tutti fondati sulla comunicazione e zero sulla politica. Decidono il candidato alla Presidenza della Repubblica a pranzo nella villona del padrone sulla via Appia: una scena tra Plauto e i Vanzina.

La propaganda pacchiana del berlusconismo si ringalluzzisce: ha messo fine alla Guerra Fredda, è tra i primi contribuenti italiani, è l’eroe della libertà: ma chi non sa che Berlusconi è stato un politico mediocre, un pessimo servitore dello Stato (che ha frodato, già che c’era), un uomo poco coltivato, coi libri finti sugli scaffali e il gusto estetico per la paccottiglia di una magnate russo, un manipolatore della realtà che ha asservito un esercito di fedeli esecutori allo scopo di farsi le leggi per guadagnare di più, pagare meno tasse, restare impunito dei suoi reati, etc.?

Ex parlamentari della Repubblica che nella vita hanno fatto solo i servitori dei propri affari e di Berlusconi (e poi, quindi, i sostenitori di Renzi) brigano tra loro per fare un dispetto a “Travaglio, Zagrebelsky, Gruber” (così Verdini); stiamo parlando di gente ai domiciliari per traffici illeciti ai danni dello Stato che potrebbe deciderne il Capo: neanche gli sceneggiatori di Gomorra avrebbero osato tanto.

Ed è una pena vedere la mandria di suoi dipendenti pronti a scrivere sulla scheda le varie combinazioni di nome e cognome per farsi “contare”, invece di provare vergogna.

La candidatura di Berlusconi non è solo irragionevole: è uno sfregio, una bestemmia, uno sputo sulla Repubblica. È il trionfo del nichilismo. Pochi dubbi che Renzi, in combutta con Verdini, lo voterebbe, se occorre; non perché ami Berlusconi, ma perché odia l’Italia, e di mestiere fa il guastatore.

Il Pd, nella persona di Letta, ha maturato qualche remora perché Berlusconi è “divisivo”. Perché sono arrivati a questo punto? Perché sono inetti, certo, ma anche perché temono di passare per moralisti, nel Paese in cui non è chiara la differenza tra l’essere moralisti e l’essere persone morali.