(Giuseppe Di Maio) – Non è finita con Meloni, la storia del patriota continua. Che si sia voluta individuare una virtù per l’eletto alla Presidenza della Repubblica, non è una cosa sbagliata, ma che uno dei leader più amati dagli italiani abbia indicato quella del patriottismo è cosa del tutto ridicola. Si vabbè, uno direbbe: quella virtù fa parte dell’armamentario ideologico della destra. Purtroppo tutte le cose che vengono da quella parte sono biforcute, e questa non fa eccezione. Difatti la cosa è stata presentata come se per l’alto officio si stia riscaldando a bordo campo un Pietro Micca, uno dei fratelli Bandiera, o un Enrico Toti. E invece, se diamo uno sguardo al toto nomi, troviamo i soliti arraffoni per conto terzi o per conto proprio.

Il primo tra tutti i patrioti è Silvio. Uno che ha condotto una vita tra il dissoluto e il criminale, un ritratto delle turpitudini nascosto nelle stanze della sua villa ad Arcore, mentre ai connazionali appare ancora come un giovane Dorian Gray, straritoccato dagli estetisti e mostrato dalla stampa servile in immagini di repertorio. L’ipotesi Mattarella bis appare poco praticabile, così come quella di Draghi che lascia palazzo Chigi a un altro amico degli amici. Eppure, se consideriamo la ragione, e soprattutto il modo, con cui super Mario è stato designato al governo, quest’ipotesi non è per nulla peregrina. L’Italia non è una vera democrazia, il potere reale è saldamente nelle mani di bande avverse che però rispondono allo stesso padrone. La minaccia 5S è passata, l’inciucio aleggiava già dal 4 marzo 2018, e il Conticidio non è solo un’invenzione di Renzi, ma dell’intero establishment.

Chiunque sia poi il vecchio arnese che chiameranno al Quirinale, è solo una questione di vicinanza ad una delle bande, ma avrà certamente le virtù del patriota. Cioè, come dice Renzi, sarà come Ciampi, come Napolitano, come Mattarella, sarà come loro pronto ad intervenire quando le decisioni politiche dovessero danneggiare il padrone (come fece Napolitano per Gratteri ministro della Giustizia, e Mattarella per Paolo Savona al Ministero del Tesoro). Lo stesso vale per le signore che affollano il parterre. La più gettonata è naturalmente la Cartabia, ascesa a Presidente della Consulta per dimostrata ubbidienza, poi alla Giustizia dove ha cucito sotto dettatura la peggiore riforma dell’era repubblicana, e adesso, chi più patriota di lei, non sarebbe l’ora di una gonnella al vertice dello Stato?

La fesseria che circola sull’elezione diretta del Presidente della Repubblica passerà anche stavolta. Ve l’immaginate voi il padronato nostrano nelle mani di un elettorato capace di innamorarsi di qualsiasi comico? Ecco, ci vuole uno che dia segni di stabilità, di incondizionata ubbidienza. Senza tirare di nuovo in ballo Amato, altro rudere della Consulta, io suggerirei Cottarelli: il più pronto dei patrioti pronti. Si può farne uso al Quirinale, al governo in sostituzione di Draghi, come ministro dell’economia, e anche come corazziere all’altare della patria. Ma prima di discutere chi è un patriota, bisognerà domandarsi che cosa è Patria. Di sicuro scopriremmo che essa è l’orto del padrone, una proprietà che la maggioranza degli italiani difende, e da cui la stessa maggioranza è esclusa.