Niente a che vedere con le prime ondate, però “i pronto soccorso cominciano ad avere difficoltà perché i posti letto dedicati al Covid, nei reparti specialistici, cominciano a scarseggiare”, spiega Fabio De Iaco, direttore del Pronto soccorso all’ospedale Martini di Torino e dirigente del Simeu, la società scientifica di medici e infermieri dell’emergenza-urgenza. Nei giorni […]

(DI ALESSANDRO MANTOVANI – Il Fatto Quotidiano) – Niente a che vedere con le prime ondate, però “i pronto soccorso cominciano ad avere difficoltà perché i posti letto dedicati al Covid, nei reparti specialistici, cominciano a scarseggiare”, spiega Fabio De Iaco, direttore del Pronto soccorso all’ospedale Martini di Torino e dirigente del Simeu, la società scientifica di medici e infermieri dell’emergenza-urgenza. Nei giorni scorsi a Roma si sono riviste le ambulanze in coda davanti ai pronto soccorso del Policlinico Casilino, del Gemelli, del San Giovanni, del Grassi di Ostia e di altri ospedali. “Succede che i malati infettivi non Covid vengano trattati solo in pronto soccorso, i tempi si allungano, da tre giorni si può arrivare anche a sette. C’è sovraffollamento anche dove non c’era mai stato”, dice ancora De Iaco. È il boarding, o overboarding, l’incubo dei medici urgentisti che infatti scarseggiano – i giovani scappano – e hanno aperto una delicata vertenza con il ministero della Salute. “Stavolta non spariranno le patologie non Covid, la pandemia non ha più un effetto deterrente, la gente – sottolinea De Iaco – continua a venire in ospedale, direi per fortuna”.

Non c’è da sorprendersi, con i primi freddi e nonostante i vaccini, anche senza il Covid in questa stagione aumentano le sindromi respiratorie e si riacutizzano malati cronici, soprattutto anziani che a volte hanno davvero bisogno dell’ospedale e a volte no, ma sul territorio non c’è altro. “I pazienti Covid più seri che hanno davvero bisogno di pronto soccorso, monoclonali, Niv (ventilazione meccanica, ndr) sono tutti con vaccinazione non efficace, spesso anziani vaccinati tra i primi che non hanno fatto la terza dose, o non vaccinati – osserva Giulio Maria Ricciuto, direttore delle urgenze al Grassi di Ostia, presidente del Simeu nel Lazio –. E la terapia intensiva, che forse è usata male. Gli intubati sono pochi, altri sono pazienti per i quali basterebbe la semintensiva, i caschi Niv che possiamo gestire anche noi, ma purtroppo non siamo in numero sufficiente. E dobbiamo fare tutto, dai codici minori a pazienti che non trovano posto nei reparti specialistici. Senza il boarding sarebbe un’altra cosa”.

I contagi purtroppo aumentano, forse un po’ meno di prima con il tasso di riproduzione del virus stabile ma a 1,2, sopra la soglia epidemica. E gli effetti sugli ospedali si vedono in ritardo. “I prossimi dieci giorni sarà peggio”, prevede Ricciuto. Poi ci saranno le feste e chissà che a metà gennaio non sia peggio ancora. Le Regioni stanno aumentando e convertendo i posti letto per accogliere un maggior numero di pazienti Covid: “Anche nel Lazio, noi a Tor Vergata siamo a 40 e ne chiedono altri 20 – conferma Massimo Andreoni, primario infettivologo a Roma Tor Vergata e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali –. Stavamo cercando di mantenere le terapie intensive per le attività chirurgiche, ma saremo costretti ad aprire anche qualche letto di intensiva per il Covid. Siamo lontani dalla seconda e terza ondata, ma serve attenzione, forse saranno necessarie misure di contenimento”.

Gli specialisti delle terapie intensive, con il presidente della società scientifica Siarti, Antonino Giarratano, e quello del sindacato Aaroi-Emac, Alessandro Vergallo, avevano segnalato il problema già qualche settimana fa: l’aumento dei pazienti Covid, che oggi occupano a livello nazionale il 9 per cento dei posti nelle rianimazioni (la soglia della zona gialla è il 10), penalizzerà l’attività chirurgica, che invece dovrebbe recuperare centinaia di migliaia di interventi rimandati nelle fasi emergenziali della pandemia per ridurre la scia di morti che ci porteremo dietro nei prossimi anni. Osserva però Pierpaolo Sileri, chirurgo e sottosegretario alla Salute: “Ci sono stati anche errori strategici delle aziende sanitarie che hanno stornato personale quando l’emergenza non c’era. Solo poche di esse hanno puntato sulle strutture sanitarie private convenzionate per ridurre le liste d’attesa, consentendo ai medici di spostarsi”, dice Sileri, che è anche il referente di un Tavolo delle chirurgie impegnato proprio sul recupero delle prestazioni saltate nel 2020 e all’inizio del 2021.

Per le terapie intensive “ci siamo basati – sottolinea ancora Giarratano – sul 10 per cento, calcolato però sui posti attivabili, per i quali ci sono i ventilatori ma non i medici e gli infermieri necessari. Occupano pneumologie, aree di subintensiva e unità coronariche, sottraendo anestesisti . E non sono utilizzabili per i pazienti non Covid. Così si riducono le risorse per i pazienti fragili, la neurochirurgia, parte della cardiochirurgia”. Sta già accadendo in alcune realtà. “Non è un quadro drammatico – dice il presidente della Siaarti – ma la crescita c’è, lenta e inesorabile. Bisogna insistere sui 3.500 nuovi posti di terapia intensiva che il governo si era impegnato a creare e per lo più non ci sono. Mancano gli anestesisti? Con gli specializzandi del quarto e quinto anno riusciamo a far fronte”. A Milano hanno riattivato le rianimazioni nel discusso Ospedale della Fiera: “Sono d’accordo – dice Vergallo, anestesista agli Spedali Civili di Brescia – ma l’andamento elastico serve in fase emergenziale, non in questa che dovrebbe essere di recupero dell’attività ordinaria. Se metto i rianimatori alla Fiera gli interventi chirurgici non li vedo più”.

Tutti insistono sulle vaccinazioni per frenare il virus che circola, di fatto, poco meno della metà di quanto circolerebbe senza vaccini. Sulle gambe dei vaccinati e, in misura minore, anche su quelle dei vaccinati, dal momento che la protezione dall’infezione non è completa e scende fino al 40 per cento dopo 5/6 mesi: “Non abbiamo saputo in tempo della necessità immediata della terza dose, non eravamo pronti a farla a tutti, siamo ancora al 47 per cento e la fascia degli over 50, vaccinati nella prima fase, è la popolazione più a rischio”.

Lo confermano i dati diffusi ieri dalla Fiaso, la Federazione delle aziende ospedaliere, riferiti a 16 ospedali-sentinella. Rilevano “un incremento complessivo delle ospedalizzazioni per Covid pari al 10,1 per cento. L’età media di chi finisce in ospedale è più alta, 75 anni, tra i vaccinati, e più bassa, 64, tra i non vaccinati. Tra i ricoverati in gravi condizioni – scrive la Fiaso – non ci sono soggetti che hanno completato il ciclo vaccinale da meno di 4 mesi”. Secondo la Federazione, in una settimana, i non vaccinati in rianimazione sono aumentati del 32 per cento, i vaccinati sono diminuiti del 33. E per il 75 per cento i vaccinati in rianimazione sono “affetti da gravi comorbidità e con un’età media di 69 anni”, mentre i non vaccinati “sono in media più giovani, 62 anni, e nel 42% dei casi sono persone sane”.