(di Giancristiano Desiderio – corrieredelmezzogiorno.corriere.it) – La mia generazione andava a scuola con la pioggia, con il vento e anche con una leggera scossa di terremoto. Oggi le cose sono cambiate e molto. La differenza è fatta dalla meteorologia: ad un aumento delle conoscenze corrisponde una diminuzione delle scelte. O, almeno, così sembra. Senz’altro è stato finora così per i sindaci che, posti dinanzi al bollettino della Protezione civile, hanno scelto di chiudere le scuole nove volte su dieci per evitare che ai danni materiali si aggiungessero anche i danni penali di eventuali loro responsabilità. Però, così facendo ad ogni “allerta meteo” corrispondono impreviste vacanze scolastiche per le quali non si è mai avvertito il bisogno di sollevare un problema di responsabilità. Ora, con il rinnovo dell’amministrazione comunale di Napoli, sembra che la musica o, meglio, il vento stia cambiando: mentre Luigi de Magistris con l’allerta arancione chiudeva le scuole, Gaetano Manfredi con lo stesso colore ha deciso di lasciare le scuole aperte. Speriamo si continui su questa strada perché un’amministrazione municipale è fatta per assumersi responsabilità e non per evitarle.

La vera conseguenza di una superficiale interpretazione della meteorologia non riguarda, infatti, né le scelte obbligate dei sindaci, né le loro eventuali responsabilità.

Quanto una più ampia deresponsabilizzazione dei singoli e della società che alla prima difficoltà tirano i remi in barca invece di equipaggiarsi a dovere e rispondere con carattere individuale e organizzazione istituzionale.L’equazione o la deduzione “piove, dunque, scuole chiuse” è quanto di più anti-educativo ci possa essere. Si lascia intendere che alla prima difficoltà non c’è altro da fare che sospendere la vita civile di tutti i giorni e stare a casa. Ma la vita, piaccia o no, non si lascia sospendere e prima o poi – più prima che poi – presenta puntualmente il conto. Ad ogni azione o cura o dovere al quale veniamo meno in omaggio a cause di forza maggiore – “allarme meteo” – o in osservanza alla logica dell’emergenza corrisponderanno una perdita delle nostre libere scelte e un regresso della vita sociale. In fondo, la qualità delle strade, il dissesto idrogeologico, l’affidabilità degli edifici da cosa dipende: da noi o dal maltempo?

Una grande azione di prevenzione sarebbe la stampa e la diffusione del capitolo XXV del Principe di Machiavelli. Quelle poche pagine sono così vere che per noi oggi non sono solo illuminanti per la politica e la scienza ma perfino per la più umile e tanto necessaria cronaca. Lì ser Niccolò paragona la condizione umana ad un fiume e dice che la vita è per metà virtù (capacità) e dipende da noi e per metà fortuna (caso) e non dipende da noi. L’unica certezza che si conosce – dice Machiavelli – è che arriverà la tempesta ma se gli uomini saranno stati avveduti e avranno lavorato agli argini del fiume, allora, le acque si alzeranno e i danni saranno limitati; mentre se gli uomini non avranno lavorato secondo virtù, allora, sarà tutto in mano alla fortuna e le acque tempestose potranno portarsi tutto via, come nel romanzo di Nicola Pugliese, Malacqua. Piuttosto che affidarci alla fortuna per poi prendercela con la sfortuna, chiediamoci se ci siamo assunti le nostre responsabilità nel cinquanta per cento di nostra competenza.