(Pietro Salvatori – huffpost) – È caldissimo il telefono di Beppe Grillo. Nella sua villa-fortino di Genova il fondatore negli ultimi giorni e soprattutto nelle ultime ore ha continuato a ricevere messaggi e a tenere l’orecchio incollato al cellulare. Lui, che solo qualche mese fa doveva sostanzialmente sparire dalla geografia del Movimento, lui che ha combattuto una feroce battaglia con Giuseppe Conte per il controllo della sua creatura, ecco proprio lui starebbe meditando di scendere a Roma per tranquillizzare un gruppo parlamentare in subbuglio e cementare una leadership messa sotto scacco dal magro bottino delle amministrative e da una linea politica che non riscuote simpatie da un’ampia fetta del partito.
“Beppe ci stiamo schiacciando sul Pd, serve un tuo intervento o qui avremo un’altra scissione nelle prossime settimane, è scritto”, il ragionamento con cui lo tambureggia un’ampia ala critica. Una pressione che negli scorsi giorni è giunta all’orecchio delle pur numerose truppe contiane, che hanno iniziato a dirigere verso il fondatore un tam tam uguale e contrario: “Valuta bene se venire, la stampa ci monterebbe un caso, ci indeboliremmo”.
Ovviamente una discesa a Roma di Grillo contiene in sé implicazioni stratificate, che vanno oltre la contingenza. Ognuna delle quali non può far piacere a Conte. Perché potrebbe contribuire a cementare la leadership dell’avvocato, certificando così di essere una sorta di tribunale di ultima istanza delle contorsioni del suo partito. E al contempo segnalando che la leadership del nuovo capo politico non è affatto solida come il martellamento via social delle piazze che riempie cerca affannosamente di dimostrare.
L’endorsement a Roberto Gualtieri non è piaciuto a un pezzo dei 5 stelle, a partire da Virginia Raggi. Ragiona un parlamentare di peso: “Se ci schiacciamo sul Pd favoriamo un ritorno al bipolarismo, e in uno schema bipolare finiamo di essere determinanti e ci limitiamo a fare i portatori d’acqua dei Dem”. Si guarda a Grillo anche per questo, convinti che la sua di linea politica non disdegni accordi con la sinistra, ma miri al contempo a preservare quell’eccezionalità del M5s delle origini, capace di dettare l’agenda forse più all’opposizione rispetto ai tempi del governo.
Intorno al castello che si appresta a costruire Conte con il varo della nuova segreteria – che in molti aspettano per la settimana prossima ma che potrebbe ulteriormente slittare – c’è tutto uno scavare per destabilizzarla. Complice anche Grillo e la freddezza che si è cristallizzata da mesi con il nuovo capo politico, complice il ruolo di Raggi, che sempre più sta assurgendo come catalizzatrice dell’opposizione interna e che ha dovuto rimandare un incontro con parlamentari amici per evitare l’incidente diplomatico, perché già percepita come capo corrente. E complice anche il ruolo di Alessandro Di Battista, che da fuori mantiene un robusto appeal sull’interno avendo conservato la stessa linea politica di sempre, fortemente critica con il Nazareno, attento a non strappare fino in fondo il cordone ombelicale con un’area composta sì da ex ma anche da tanti che ancora militano nel M5s che spera in lui come punto di riferimento in un prossimo futuro.
L’imprevedibilità è una cifra qualificante dell’azione politica di Grillo. “Dovrebbe venire la prossima settimana – spiegano – ma non sai mai cosa aspettarti, potrebbe essere prima, potrebbe essere mai viste le polemiche che si sono sollevate”. Il solo motivo che se ne parli, tuttavia, preoccupa e non poco Conte: l’impresa di guidare il Movimento si sta rivelando per certi versi più complicata di gestire la macchina di Palazzo Chigi.
Draghi rischia di coprire di soldi i soliti Benetton
(di Ivo Caizzi – Il Fatto Quotidiano) – Il premier Mario Draghi e il suo “governo dei migliori” non sembrano ascoltare i familiari delle 43 vittime nel crollo del ponte autostradale Morandi a Genova, che li hanno esortati a non ricomprare Autostrade per l’Italia (Aspi) arricchendo ancora di più la famiglia Benetton e gli altri proprietari della società coinvolta in quel disastro.
Ma, oltre alle proteste di quanti affrontano lutti dolorosi, sono trapelati dubbi di valutazione eccessiva di Aspi, che dovrà spendere somme enormi per risistemare e mettere in maggiore sicurezza la rete autostradale. I venditori vorrebbero addirittura scaricare sullo Stato gran parte dei risarcimenti per il Morandi e ingenti ristori da pandemia (dimenticando il rischio d’impresa di una società monopolista con storia di alti profitti grazie ai pedaggi generosamente aumentati da tanti governi?).
Il premier si è assunto la responsabilità dell’eventuale acquisto di Autostrade nominando al vertice della Cassa Depositi e Prestiti – la holding pubblica pronta a comprare – il fido Dario Scannapieco, uno dei “Draghi boys” da quando – negli anni 90 – il suo mentore era direttore generale del ministero del Tesoro e gran “privatizzatore”.
Partecipano all’affare due fondi di investimenti privati delle multinazionali, Macquarie e Blackstone, allettate da futuri aumenti dei pedaggi imposti ad automobilisti e camionisti. Draghi rischia così di essere di nuovo considerato un “Robin Hood al rovescio”, che favorisce i ricchi e non i poveri.
Anche perché fu lui, da direttore del Tesoro, a far decollare dal 2000 l’arricchimento dei Benetton, consentendogli di rilevare la quota dell’allora pubblica Autostrade a debito e con condizioni vantaggiose: nonostante i magliai di Ponzano Veneto non sembrassero i migliori gestori possibili di una mega-infrastruttura fondamentale per l’Italia.
Draghi, ricomprando Aspi a caro prezzo, ammetterebbe che fu un errore aver venduto ai privati un così importante bene dello Stato (quindi di proprietà anche dei cittadini poveri). E potrebbe riattirarsi le critiche per altre sue “privatizzazioni”, che beneficiarono finanzieri e imprenditori vicini ai governi di quegli anni.
Da presidente della Bce il premier ha manifestato la tendenza da “Robin Hood al rovescio” elargendo liquidità (gratis o quasi) anche alle banche con attività speculative, che pompavano i mercati finanziari a vantaggio loro e di ricchi clienti.
O quando ha condiviso con la Germania e altri Paesi Ue il salvataggio con denaro pubblico delle banche (principalmente tedesche e francesi) con esposizioni ad alto rischio in Grecia: dove masse di poveri in difficoltà furono drammaticamente abbandonate.
Le politiche dette da “Robin Hood al rovescio” sono legittime. Erano un classico di presidenti Usa repubblicani, che sostenevano perfino la finanza di Wall Street promettendo successivi effetti positivi sull’economia e sul resto della collettività.
La crisi del 2008 li ha smentiti con il conto fantascientifico a carico dei contribuenti per coprire i “buchi” di banchieri e speculatori. E quei presidenti Usa almeno erano eletti. Il problema è diverso, per esempio, alla Commissione europea di Bruxelles con membri nominati dai governi, quando propone direttive e regolamenti Ue influenzati da lobby ricche e potenti. Nella stessa situazione si trovava Draghi da nominato alla Bce.
E si trova ora a Palazzo Chigi, dove è arrivato senza il consenso diretto degli elettori. Pertanto, in caso di decisioni da “Robin Hood al rovescio”, dovrebbe renderle note in anticipo fin nei dettagli – con la massima trasparenza – per verificare, oltre al consenso dei partiti, anche quello dei cittadini, che poi pagano il conto.
Non c’è solo Aspi. Sono in arrivo “riforme” ispirate dai non eletti della Commissione Ue. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, presentando la riforma fiscale, ha ricordato l’articolo 53 della Costituzione sulle tasse progressivamente più alte per i più ricchi, che sarebbe piaciuto a Robin Hood. Ma il governo sta agendo di conseguenza?
Molti cittadini, colpiti dal forte aumento della povertà, non hanno gradito gli annunci di Draghi di aiutare con la riforma fiscale “il mercato dei capitali” (cioè principalmente banchieri e finanzieri) o di garantire “per cinque anni” – anche ai proprietari di immobili con alti redditi – tasse minime sulle rendite catastali in quanto bloccate ai livelli degli anni 80.
Non sarebbe più giusto investire prima maggiori risorse per potenziare il Reddito di cittadinanza come misura di inclusione sociale degli “ultimi”, di contrasto al malcostume dei lavori sottopagati e di stimolo dei consumi di beni primari non di lusso?
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—Anche perché fu lui, da direttore del Tesoro, a far decollare dal 2000 l’arricchimento dei Benetton, consentendogli di rilevare la quota dell’allora pubblica Autostrade a debito e con condizioni vantaggiose: nonostante i magliai di Ponzano Veneto non sembrassero i migliori gestori possibili di una mega-infrastruttura fondamentale per l’Italia.
ECCO, basterebbe questo per calciorotarlo fuori dal Palazzo, mentre invece è chiaro come mai questo rettiliano sta così simpatico ai giornaloni e a berlusconi.
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pietro salvatori su HP, giornale online del gruppo gedi. Come repubblica, stampa, espresso, tutta roba “progressista” in pratica.
La mia posizione sul “M5 inchini al pd”
la espongo spesso, però resto sempre sorpreso dalla creatività semantica dei dipendenti dei signori elkann, evidentemente assunti dopo durissima selezione.
Il signor pietro salvatori scrive (sui comizi di conte):
[..] come il martellamento via social delle piazze che riempie cerca affannosamente di dimostrare [..]
Mi piacerebbe sapere dal signor pietro salvatori cosa c’è di affannoso nel mostrare piazze piene, di gente vera. Non sagome cartonate o trucchi video da post produzione ma persone fisiche autentiche, sul luogo. E le riempie proprio tutte le piazze, belle colme.
Duro guadagnare la pagnotte eh, signor pietro salvatori! Specialmente se hai dei padroni esigenti.
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A proposito di “M5 inchini al pd”
Ritengo degno di nota un fatto mediatico che ho sentito stasera:
Chicco Mentana, nel suo tg, ha ufficialmente ascritto il movimento al csx, elencandolo (nella qualificata posizione) assieme al principale partito (pd), e cespugli vari, in relazione alla manifestazione antifascista di sabato prox.
Credo che questo salto di qualità sia avvenuto solo dopo la dichiarazione di Conte a sostegno di gualtieri nel ballottaggio.
Da oggi il “m5 inchini al pd” è ufficialmente sotto l’ala protettrice di gedi-cairo.
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Draghi “rischia di coprire”? Ma se è stato messo lì apposta!
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Draghi rischia così di essere di nuovo considerato un “Robin Hood al rovescio”, che favorisce i ricchi e non i poveri.
Come dice @Carolina: “rischia”?
Sappiamo tutti che cos’è: un vampiro pronto a succhiare il sangue dei cittadini, uno sparviero che guarda dall’alto ed è pronto a germire il primo mammifero che si muove!
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