(Giuseppe Di Maio) – In questi giorni senza connessione, mentre ammiro i saliscendi delle coste e l’interno galluresi, l’insperato giro fuori stagione e fuori del tempo mi ha portato per i rari massi nuragici e i frequenti pietroni dei muretti a secco delle proprietà sarde. Qui, mentre mi destreggio tra i sentimenti degli isolani, tormentati dalla giusta diffidenza e dalla curiosità endemiche delle popolazioni appartate, mi invadono nuove riflessioni. Il Billionaire e Porto Cervo, i villaggi di Stintino e Golfo Aranci, la costa occupata dalle ville dei ricchi sono ancora un’eccezione, un male tollerato che non penetra le arcigne dimore di Tempio Pausania. Qui la libertà che il Capitalismo promuove dall’inizio dell’età moderna si scontra con una resistenza naturale non ancora pronta per essere svenduta: la signoria.

La mercificazione capillare a cui ci ha sottoposti il Capitale, la rapina programmata delle virtù umane e delle risorse naturali gratuite, l’inevitabile immiserimento progressivo che segue l’apparente abbondanza dei beni di consumo, tutto ci dice che la libertà del mondo occidentale è una chimera. L’inganno dell’età moderna è il surrogato di un altro genere di libertà che ci portiamo dietro dalla preistoria e che ha custodito finora la nostra civiltà e la salute ormonale. I sardi me l’hanno ricordata con la loro diffidenza proprietaria e rancorosa, con la confusione autarchica (ma solo con lo straniero) tra i rapporti personali e quelli impersonali. Giacché il mondo dei Berlusconi e dei Briatore, che come servi liberti intossicano il consiglio regionale e le abitudini dei cittadini più deboli, resta nei loro villaggi come una Nemenkaja Svoboda (quartiere straniero fuori le mura della santa Mosca settecentesca).I nativi sono rintanati nel loro universo tradizionale, chiusi a difesa di una proprietà privata spesso miserevole, con valori guardiani considerati oppressivi dalla cultura del denaro. E anche se i frequenti matrimoni delle loro donne con gente di fuori purtroppo mi dice che la loro potestà sta scricchiolando, mi domando quale libertà possano dare i beni materiali quando viene meno il potere sui programmi naturali e sulla vita spirituale. Quale libertà può mai venire dal denaro che regna solo sulle esigenze corporali, cosa può esserci di buono nella rimozione della gratuità familiare? La nostra libertà naturale, cioè la signoria sulla sfera privata e personale, è scaduta in libertà commerciale che le moderni plebi del Capitale proprio in questi giorni esaltano e contrattano nelle piazze. Tutto il nostro potere è stato svenduto per il piatto di lenticchie, e abbiamo barattato il prezioso senso della vita nascosto nel pane e le cipolle. E nel pecorino.