(Giuseppe Di Maio) – La disuguaglianza ha cause politiche ed ideologiche. Il dettato apparente della nostra società racconta che i cittadini sono uguali nelle garanzie d’accesso, nelle opportunità, nella vita pubblica, di fronte alla legge. Purtroppo nei fatti non è così e i deboli (che lo sanno), istintivamente si proteggono dai cittadini più forti evitando le occasioni di scontro. La sovrastruttura rappresenta lo stato di quiete del mondo truccato, ma basta appena appena agitare il pantano che immediatamente emergono le differenze. Basta provocare. Difatti a guardare dall’esterno non saremmo capaci di riconoscere il dominante e l’oppresso. Fino a che l’aggressione dell’uno, o l’incoscienza reattiva dell’altro, non li smascherano.

Ne “il potere visto dal di sotto”, un capitolo dell’agile libretto del sociologo Franco Ferrarotti “Il potere”, è spiegata la differenza tra dominio e potenza (herrschaft e macht). All’autorità dall’alto (grazia), si contrappone quella dal basso (carisma), che generano due tipi diversi di ottemperanza: la coercizione e il consenso. E, dice l’autore: “quanto più un’autorità è mancante di autorevolezza tanto più tende ad essere autoritaria e, per converso, in corrispondenza indiretta, tanto più violenta è la reazione ad essa.”

Con il pensiero egemonico si generano comode condizioni di prepotere, una specie di confronto facilitato, in cui spesso si realizzano indesiderate posizioni di predominio ma senza la grazia o il carisma necessari per l’approvazione. E, chi avesse intenzione di opporsi, deve fare un difficile percorso in salita possibile solo a coloro che hanno solide basi culturali, dialettiche e di carattere. La prima reazione contro i divulgatori del pensiero egemone è l’insofferenza, che spesso assale ad esempio chi non sopporta la prevalenza del pensiero femmina, gender, e buonista, senza condizioni. Non ne parliamo quando poi la superbia prepotente ed egemonica si scontra con l’ardore dei neo-reazionari della pandemia: poiché il furore “politico” dei no virus, no mask, no vax e no pass rischia di essere la peggiore eversione degli ultimi anni.

Difatti, durante il sit-in No Green Pass di lunedì, Francesco Giovannetti di Repubblica e del Gruppo Gedi, ha ricevuto 4/5 pugni ben assestati in pieno volto con traumi di un certo rilievo. L’incauto giornalista, che ha presunto di poter avere un facile confronto con alcuni bidelli della scuola, ha dovuto subire una reazione imprevista. A lui è sembrato oltremodo facile confutare le tesi dei manifestanti, che invece lo avevano già etichettato come servo del sistema e mistificatore di professione. Ma a Giovannetti è continuato a sembrare opportuno affermare il diritto di cronaca: continuare a fare domande, sostare in un luogo pubblico conteso, opporsi alle minacce, e rispedirle al mittente col tono di rivalse legali.

Per un poveraccio ignorante, sprovveduto e forse infelice di suo, è stato troppo. L’invasione del giornalista gli sarà parsa uguale al disprezzo della sua tesi, pari a un’accusa di ignoranza, ad una provocazione, ad un’esclusione dal gioco delle parti. E ha esagerato la difesa. Con i cazzotti che ha sferrato davanti alla telecamera qualcosa dentro di me ha gioito, e di certo aveva a che fare col mio desiderio di rivincita verso la spocchia degli allocati e garantiti. Ma ora, per la sua violenza, quel poveraccio la pagherà cara. Pagherà forse la sua unica manifestazione pubblica, il suo tentativo di ragionare di politica, e con lui tanti altri del suo ceto che, sprovvisti di virtù dialettiche, alleveranno uno smisurato rancore sociale.

Con GVPress, associazione italiana giornalisti videomaker, si sono schierate quasi tutte le forze politiche, e quasi tutti i candidati romani. A nessuno verrà in mente che l’ignoranza che adesso condannano unanimemente è proprio ciò di cui si nutriranno i partiti di destra, e che la miglior politica non è linciare un poveraccio espropriato di fatto della sua cittadinanza, ma dargli per tempo degli strumenti culturali adeguati alla vita democratica. Questo, però, è più pericoloso dei pugni.