(Giuseppe Di Maio) – Non riesco a togliermi di mente la faccia della signora milanese al gazebo dei 5 stelle. La furia del popolo aveva spazzato via le fragili strutture del banchetto e lei era restata lì, a chiedersi dove avevano sbagliato: lei, i suoi compagni e il suo partito. Nei prossimi giorni elaborerà un’altra opinione del popolo che inizialmente aveva divinizzato, e con la violenza subìta alleverà la sfiducia nella partecipazione democratica. I padroni hanno vinto ancora una volta, dopo aver fomentato le schiere della destra reazionaria che si nascondono dietro il grido “libertà libertà”.

Chi si è interessato di politica prima del berlusconismo, sapeva che essa si occupava principalmente della struttura sociale ed economica: della produzione e della distribuzione della ricchezza. Durante il ventennio a dominio televisivo, e dopo la crisi di leadership della destra, l’oggetto della politica è migrato su faccende che prima non sarebbero state di sua competenza. I partiti dell’amore, della libertà, dell’amicizia, delle tradizioni italiche, hanno sostituito l’analisi sociale, e il consenso è stato accordato alle giacche, alle camicie, alle felpe. Ora l’infezione da coronavirus ha portato una nuova emergenza politica. Sui social è finita la caccia al ladro, o le accuse di poltronismo e, dopo dieci giorni di lockdown, cominciarono a sorgere moltitudini di oppressi.

La nuova emergenza ha raschiato il fondo di tutte le classi sociali e di tutte le convinzioni politiche, tanto da far credere che “l’opinione” che si sbandierava era appunto una cosa svincolata da qualunque sentimento di appartenenza. E invece, il linguaggio, le argomentazioni, il furore, erano tutti riconducibili a una precisa auto-collocazione sociale. I negazionisti per primi, sebbene afflitti da rilevanti tendenze psicotiche, hanno inaugurato la guerra all’autorità. Poi sono seguiti i sostenitori delle libertà di movimento e di cure, i no-vax, e infine i no green pass e i vessati dalla dittatura sanitaria. Tutti gridano libertà: parrucchieri, ristoratori, ambulanti e bagnini, gente di destra e di sinistra, 5 stelle fedeli e pentiti. Il banchetto travolto dai manifestanti, tra cui si celavano i furboni di Salvini e Meloni, agitavano la Costituzione, come se l’avessero scritta loro, come se sapessero cosa c’è scritto dentro.

Ma sebbene siano spesso “legioni di imbecilli” come avrebbe detto U. Eco, il tratto comune a tutti costoro è la difesa della dimensione privata. Che siano reazionari, radicali o anche conservatori, persino marxisti che credono nel complotto della dittatura padronale, tutti recitano il “cazzu iu” di La Qualunque, filtrato dai diversi e temporanei equivoci dell’appartenenza politica. La farmacofobia, la paranoia, l’animo liberale e quello libertario, o solamente l’interesse privato e partitico, hanno sostituito il laboratorio della politica e fanno ribollire lo spirito reazionario che ogni europeo e nord-americano possiede. Dimostrando che la democrazia e il bene comune, quando non sono imposti individualmente e per legge, sono vani progetti senza difensori.