Nella tragedia afghana chi non arretra, chi si fa onore è la diplomazia italiana. Con Tommaso Claudi, il giovane console che nella foto che ha commosso il mondo solleva quel bambino spaventato e in lacrime e lo aiuta a superare un muro all’interno dell’aeroporto di Kabul.

(pressreader.com) – di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano – Nella tragedia afghana chi non arretra, chi si fa onore è la diplomazia italiana. Con Tommaso Claudi, il giovane console che nella foto che ha commosso il mondo solleva quel bambino spaventato e in lacrime e lo aiuta a superare un muro all’interno dell’aeroporto di Kabul. Con Stefano Pontecorvo, già ambasciatore italiano in Pakistan, che per conto della Nato coordina le operazioni nello scalo bersaglio dell’orrore kamikaze. Entrambi ci raccontano che anche nell’inferno in terra molto si può fare con l’azione e con la riflessione. Del resto, che altro si può fare? Non sappiamo a quanti bambini, a quante donne e uomini, Claudi abbia teso la mano per aiutarli a superare il confine tra la paura e la speranza, tra la vita e la non vita. Ma fosse stato uno soltanto, quel piccolo, a essersi salvato tra le sue braccia, gliene siamo con tutto il cuore riconoscenti. Noi che nelle nostre case, al sicuro su un pianeta lontano, guardiamo e riguardiamo la disumanità di quelle folle ammassate, disperate e ci chiediamo che cosa si può fare? Ecco che cosa si può fare: fare. Dobbiamo essere grati all’ambasciatore Pontecorvo, perché agisce in prima linea in una situazione di pericolo costante e perché, in una intervista al “Messaggero”, ci aiuta, testimone diretto e consapevole, a capire meglio le cose come stanno. Ci dice che il caos è “in buona parte colpa del presidente Ghani”, quello scappato davanti ai Talebani, “ma che questo signore noi lo abbiamo sostenuto” (qualcuno ne risponderà?). Quei Talebani che egli ha “incontrato spesso” e che “stanno facendo i conti con un Paese che ancora non conoscono bene”. Che governeranno l’Afghanistan e che dunque vanno ascoltati: “bisogna parlare con tutti, così come è giusto calibrare i propri rapporti con il prossimo a seconda di come si comporta”. Se confrontiamo le sue parole con quelle pronunciate, giovedì notte, dal provatissimo presidente americano Joe Biden, il concetto non cambia: i Talebani non sono certo dei “bravi ragazzi” ma in questo momento è nel loro interesse collaborare con il governo degli Stati Uniti e con gli occidentali che lasciano il Paese. Puro buon senso che sicuramente non troverà d’accordo il corpo dei Marines da salotto. Quelli che dal divano deplorano la fine dell’occupazione, e dunque della fondamentale esportazione della democrazia. Quelli che parlano, parlano, parlano.