Montecitorio, interno giorno, una scena fantastica del Divo di Sorrentino. Parla “lo squalo” Vittorio Sbardella, piegato verso l’orecchio di un collega democristiano: “Guarda Andreotti adesso, ma guardalo bene”. I loro occhi, come la telecamera, sono fissi su Andreotti/Servillo: immobile, impassibile, una statua di sale tra i banchi del governo. “È il momento che aspetta da […]

(pressreader.com) – di Tommaso Rodano – Il Fatto Quotidiano – Montecitorio, interno giorno, una scena fantastica del Divo di Sorrentino. Parla “lo squalo” Vittorio Sbardella, piegato verso l’orecchio di un collega democristiano: “Guarda Andreotti adesso, ma guardalo bene”. I loro occhi, come la telecamera, sono fissi su Andreotti/Servillo: immobile, impassibile, una statua di sale tra i banchi del governo. “È il momento che aspetta da tutta la vita”, sussurra Sbardella.

Si risolve con una sconfitta umiliante: Oscar Luigi Scalfaro viene proclamato presidente della Repubblica. Andreotti assiste al proprio fallimento senza tradire un’emozione, si alza in piedi e applaude composto il nuovo capo dello Stato. Sbardella, col suo ghigno cattivo, sentenzia: “Guardalo e impara come si sta al mondo”.

Nel film l’identità del parlamentare Dc che raccoglie la lezione di vita dello squalo non è chiara. Sappiamo però che nel 1992, al momento dell’elezione di Scalfaro, Pier Ferdinando Casini aveva appena iniziato la sua terza di molte legislature. Poteva essere proprio lui il novizio democristiano che imparava la politica dall’esempio dei maestri. Perché non c’è dubbio: Casini al mondo ci sa stare.

Proprio come l’Andreotti del Divo, anche lui sembra ciclicamente destinato al Quirinale. Ci spera e ci lavora da tempo. Già cinque anni fa era tra i cardinali più accreditati all’inizio del conclave. Gianfranco Rotondi – un’enciclopedia vivente di storia politica italiana – racconta questa telefonata di Berlusconi: “Silvio mi disse che aveva dato l’ok a Renzi per andare su Casini. Gli dissi che l’avrei votato con entusiasmo”. Poi l’asse s’incrinò, Renzi giocò la partita Quirinale per conto suo e alla fine dal conclave uscì papa Sergio Mattarella.

Ora che inizia un altro giro, Casini è di nuovo in corsa. Andrebbe seguito pure lui con una telecamera dedicata, mentre si muove felpato nelle stanze parlamentari. Con gli stessi occhi con cui Sbardella osserva Andreotti: guardalo Casini, guarda come sorride a tutti, guarda che signore elegante, un pavone brizzolato nell’emiciclo; ascolta l’equilibrio delle sue parole, la retorica parlamentare che scorre come un fiume secolare: guarda quanto mestiere.

Lui della politica ha conosciuto tutto tranne il potere vero. Mai ministro, mai sottosegretario. Una circostanza che ha spiegato così, in una bella intervista a Concetto Vecchio su Repubblica (16 ottobre 2019): “Non ho fatto il ministro perché mi sento uomo delle istituzioni”. E ancora: “Il potere è il telefono che squilla. Ma è anche un’illusione ottica. Tutto finisce in cenere”.

Mai al governo dunque, ma una lunga, lunghissima, eterna carriera parlamentare, con l’orpello della presidenza della Camera tra il 2001 e il 2006. Quella iniziata tre anni fa è la sua decima legislatura consecutiva: viene eletto ininterrottamente dal 1983. All’epoca aveva 27 anni, a 24 aveva esordito da consigliere comunale nella sua Bologna.

Sempre in mezzo, sempre al centro, sempre con almeno un paio di forni in cui far lievitare il pane: ha frequentato per lo più quello del centrodestra, negli anni ruggenti del berlusconismo, ma col Cavaliere il rapporto ha vissuto di alti e bassi. Ha sempre mantenuto buoni rapporti con tutti. E alla fine – capolavoro di perversione – è riuscito a farsi eleggere nel collegio rosso di Bologna come candidato uninominale del Pd. L’ultima beffa di Renzi all’odiata Ditta: ha portato Casini a mangiare lo gnocco fritto alla Casa del Popolo; un democristiano a profanare un territorio sacro.

Dunque l’obliquo Pier Ferdy crede di nuovo nel Colle, “il momento che aspetta da tutta la vita”. Anche stavolta è Renzi il cavallo su cui ha messo la sella: “Nella corsa al Quirinale gli ex presidenti di Camera o Senato sono tutti candidati naturali. Anche Casini, certo, ha le caratteristiche che lo rendono adatto al ruolo”, ha detto il leader di Italia Viva. Con un’aggiunta maliziosa: “Ma non è l’unico, anzi”. Per Casini a ben vedere è un doppio problema. Primo: l’endorsement di Renzi non è che sia proprio il più luminoso dei fregi; non si può dire che attiri le simpatie trasversali di cui bisogna godere per vincere la maratona del Quirinale. Secondo: il suo nome è uscito troppo presto, e quando un nome esce troppo presto di solito è per farlo bruciare. Ci affidiamo ancora alla saggezza di Rotondi. “Ci sono due strade per arrivare alla presidenza della Repubblica: il metodo Cossiga e il metodo Leone. Nel primo caso ci si mette d’accordo tutti insieme su un uomo al di sopra delle parti e lo si fa passare alla prima chiama” (quando servono i due terzi dei voti). Nel secondo caso si fa un presidente ‘di parte’. Lo sceglie la maggioranza assoluta dal quarto scrutinio in poi”. E nella fattispecie? “Col metodo Cossiga si elegge Mario Draghi, a meno che non resti a Palazzo Chigi. Col metodo Leone decide il centrodestra, e noi vogliamo Berlusconi”. Al Cavaliere, ammesso che Salvini e Meloni puntino su di lui, mancherebbero 55 voti. “Li trova senza nemmeno dover alzare il telefono”, garantisce Rotondi. E Casini? “Può essere un’alternativa a Draghi, ma Renzi l’ha messo in mezzo troppo presto. Se entra papa, esce cardinale”. Sarebbe la seconda volta, che beffa per un democristiano.