(Andrea Scanzi) – Giuseppe Conte è ufficialmente il presidente del Movimento 5 Stelle. Lo era da mesi, ma le paturnie di Beppe Grillo hanno colpevolmente ritardato la votazione. Qualche considerazione.

Rinascite. Conte parte con un vantaggio e uno svantaggio. Il vantaggio di prendere il M5S nel punto più basso del Movimento in termini di attrattiva, e dunque Conte non potrà che migliorare il tutto. Ma anche lo svantaggio – appunto – di essere il leader di una forza percepita come senza arte né parte. Dovrà metterci molto del suo.

Montesano & Barillari. I due soggetti, benché inconsapevolmente, sono uno dei marker più evidenti del passaggio del M5S dal 33% al 15%. Gente come loro era infatti parte di quell’elettorato complottaro e qualunquista, nonché talora becero e umorale, che ha votato a lungo i 5 Stelle. Barillari, addirittura, fu pure candidato (ed eletto!) col M5S. Ora questi figuri non solo non votano più il M5S, ma lo odiano pure. Ecco: è bene che Conte, con quel mondo lì, chiuda per sempre. E per chiudere non basta stare sulle palle a Montesano o Barillari: occorre perseguire una politica seria, lucida e ben poco furbina. A costo di perdere qualche voto.

Dignità. Conte vuole “restituire dignità alla politica”. Nobile intento, ma così è un po’ vago. Serviranno fatti concreti, coraggiosi e non sempre popolari a breve termine.

Cartabia sì, Cartabia no. Conte è stato bravo a salvare il salvabile sulla schiforma Cartabia, ma il danno era già stato fatto (non per colpa sua). Il bicchiere è ora forse mezzo pieno, ma di sicuro è pure mezzo vuoto. E Conte sa bene che non può spacciare per vittoria una riforma che prima di lui era da 0 e ora è da 4. Infatti non solo non esulta, ma promette di cambiarla radicalmente alle prossime elezioni se i 5 Stelle stravinceranno (uhm…). Si noti poi a margine il paradosso di una tale situazione: Conte non vede l’ora di tornare a votare per cambiare una legge che i 5 Stelle stessi hanno appoggiato. Boh. Draghi sì, Draghi no. Conte sa di non poter uscire dal governo, come sa che dovrà ingoiare molti altri rospi. Così, un po’ per indole e un po’ per acume politico, gioca al democristiano: da una parte loda Draghi quando difende il reddito di cittadinanza, dall’altra allude a vaghe barricate per difendere battaglie identitarie. Che significa? Che Conte ha le mani legate, e più durerà questo governo al cloroformio più i 5 Stelle si ammosceranno. Con o senza “Giuseppi”.

Tour. Conte farà un tour su e giù per l’Italia, cercando di toccare ogni realtà. E’ un’ottima idea: dovrebbero praticarla anche gli altri nomi forti del M5S, che proprio sul contatto diretto con la base aveva fortificato il suo consenso.

Classe dirigente. Conte farà sapere a breve chi saranno i leader del suo nuovo M5S. Sarà uno snodo decisivo per valutare e soppesare il neo-segretario 5 Stelle.

Partito Conte. Non pochi osservatori storicamente contrari (a prescindere) al M5S sostengono che quello attuale è già un “Partito Conte”, solo che non si è avuto il coraggio di chiamarlo così. E’ possibile, ma non è detto che sia un difetto. Una volta entrato nel governo Draghi, il M5S è divenuto esangue, palloso e amorfo. A Conte, per certi versi, conveniva creare una forza totalmente nuova, cercando magari di inglobare anche la sinistra di Bersani, Fratoianni e simili. Così non è stato. Conte resta però molto più forte e popolare degli attuali 5 Stelle. E dunque, affinché il giochino funzioni, dovrà rivoltarlo come un calzino. Senza snaturarlo, ma certo rinnovandolo radicalmente.

(Oggi sul Fatto Quotidiano cartaceo)