(Anna Lombroso per il Simplicissimus) – Se amate il genere fantasy, ecco una storia che vi piacerà.

C’era una volta un paese, strano già per la sua forma a stivale, ricco di paesaggi magnifici, di opere d’arte immortali, di terreni fertili e mari pescosi, ciononostante in rovina. Ci vivevano alcuni, ricchi e indolenti che stavano nei loro palazzi e in alte torri di cristallo a contarsi i soldi sottratti al popolo con la pratica della rapina, dello sfruttamento e della corruzione, e una popolazione  sempre più impoverita di lavoratori condannati a rivivere precarietà medievali:  caporalato, cottimo, servitù della gleba, tartassati da esattori e strozzini.

Le condizioni del Paese, che chiameremo Italia, erano davvero misere: persa la sovranità statale, dismessa ogni cura del territorio e della gente, i forzieri esausti si aprivano per appagare l’avidità di gruppi industriali locali e esteri incoraggiati a occupare l’economia con le loro reti commerciali, con le loro opere megalomani e infinite, mentre intere aree della nazione colpite da eventi catastrofici indotti o aggravati dalla carente manutenzione o da sciacallaggi edilizi venivano abbandonate e neglette. Nelle città immiserite crescevano come funghi velenosi baraccopoli alla pari con quelle concesse grazie alla fitta a terremotati, rendendo le periferie urbane e quelle marginali ai centri del potere, luoghi brutti e risentiti dove si preferenza si confinavano immigrati clandestini e disperati in aggiunta alla disperazione indigena.

Poi arrivò la pestilenza, non la spagnola o la febbre gialla, no, una influenza che ebbe effetti nefasti per svariati motivi: vennero esonerati dagli obblighi professionali i medici di base, vennero proibite le autopsie che avrebbero aiutato la diagnosi e la cura, i tagli decennali al sistema sanitario pubblico presentarono il conto dell’inadeguatezza ad affrontare una prevedibile crisi, le autorità mediche rivelarono la loro impreparazione, mettendola al servizio dell’industria farmaceutica che da anni aveva avuto in generosa concessione la ricerca così d’imperio venne aggirata qualsiasi ipotesi “curativa” per offrire come unica soluzione una gamma di vaccini sperimentali dagli “incerti” danni collaterali.

Venne imposto uno stato di emergenza che comportò la produzione di misure eccezionali, poteri e autorità speciali, sanzioni e penalizzazioni di oppositori, censura e criminalizzazioni dei renitenti e degli eretici, fino a leggi discriminatorie intese a dividere il popolo, a emarginare i disobbedienti, togliendo loro lavoro, istruzione, accesso ai beni comuni, in aggiunta alla minaccia di limitazione dell’assistenza sanitaria, già ridotta anche per gli ossequienti costretti a ricorrere a quella privata o abbandonati nel caso patissero di patologie non attribuibili al Covid 19 e alle sue varianti.

A garantire l’ordine sanitario, ispirato, erano parole sue, alla distruzione creativa che poteva approfittare giovevolmente della crisi sanitaria per operare una selezione in grado di estromettere dal consorzio civile i parassiti, piccole medie imprese, lavoratori che non si dimostravano all’altezza della rivoluzione digitale, commercio di prossimità, artigianato, venne incaricato un liquidatore grigio e feroce mandato dalla provincia sovranazionale di un impero che come tutte le superpotenze in declino, si dibatteva tra impotenza e tracotanza, violenza e velleitarismo.

Il suo fine, ma già in gioventù aveva mostrato la sua efficienza in veste di boia al servizio dei colonizzatori che volevano prosciugare le risorse e i beni del Paese, era quello esplicito di trasformare l’Italia in espressione geografica adatta alla funzione di relais, luna park, albergo diffuso per ricchi cosmopoliti, stazione di passaggio per la logistica, hangar e deposito per container, base per armamenti da testare lontano dei centri abitati dei cittadini di serie A dell’impero.

Per questo su ordine dei suoi capi mise a punto un piano di spesa del budget che la cupola criminale metteva a disposizione del Paese in forma di prestito condizionato da ripagare con cospicui interessi dai cittadini, com’è uso di ogni racket di cravattari, che minacciano la morte a chi non può pagare il debito contratto col coltello alla gola,  ma intanto gli spezzano gambe e gli incendiano l’esercizio.

E difatti il suo progetto non mirava al rafforzamento della sanità pubblica, macché, doveva invece accontentare le pretese di cordate del cemento, della speculazione e della corruzione, orbate del profitto corrente di grandi interventi rivelatisi meno profittevoli, Mose, Tav, provvidenziali attività di manutenzione di ponti e autostrade, prevedendo ingentissimi investimenti in infrastrutture ormai incompatibili con gli effetti della gestione della pandemia ed incongrui anche prima della contrazione del turismo e del traffico merci.

Così i suoi connazionali venivano condannati a risarcire un prestito di 62 miliardi (7,5 dei quali vennero subito assegnati a Regioni dall’accertata indole malaffaristica) per alta velocità, bretelle, collegamenti autostradali, indicati come indispensabili per rispondere alle esigenze delle imprese, per contribuire alla ricostruzione e “favorire lo shift modale”.

Sarà a quel fine che il commissario liquidatore andò a tirar fuori dal cassetto degli incubi quello più vergognosamente ridicolo, un ponte visionario di collegamento della punta dello stivale con l’isola dirimpetto, secondo un progetto indifferente alla sismicità, ai costi, alla pressione ambientale, alle irrisorie ricadute economiche e sociali a fronte dell’onere per le casse dello Stato.

Ancorata a un ordine del giorno di un ramo del Parlamento esautorato da poteri riguardanti l’interesse generale, che impegnava il suo esecutivo «ad adottare le opportune iniziative al fine di individuare le risorse necessarie per realizzare un collegamento stabile, veloce e sostenibile dello Stretto di Messina», con spirito messianico e volontà demiurgica, lo statista decideva di affidare, al costo di 50 milioni di euro, a una società partecipata dell’azienda ferroviaria nazionale,  la redazione di una proposta di fattibilità tecnico-economica   da  redigere «entro la primavera del 2022, così da avviare un dibattito pubblico al fine di pervenire a una scelta condivisa con i diversi portatori di interesse», facendo uscire l’idea dal campo delle ipotesi avveniristiche per trasferirla nella realtà.

Subito ci fu in grade affaccendarsi dei “portatori di interessi”, quelli legali o sedicenti tali, impegnati a sostenere  le  tifoserie schierate nell’arena, una campata, più campate, localizzazione tra Scilla e Ganzirri o tra Messina e Catona. Mentre face mancare la sua voce il target più coinvolto, abituato ad agire senza pubblicità, seppur interessato alla qualità e alle caratteristiche dei piloni – ferve il dibattito sull’essenzialità dell’aria condizionata all’interno delle maestose strutture – usati nel passato come utili contenitori delle spoglie mortali di concorrenti sleali.

Esco dalla parabola, quel Paese esiste, quel Paese è sempre più povero, quel Paese è sempre più sventurato ormai consegnato il larga misura volontariamente nelle mani di un ceto criminale costretto a cedere alle lusinghe e alle pretese del crimine organizzato, quello delle cosche mafiose che hanno fatto di tutto lo stivale il terreno per scorrerie, infiltrando istituzioni, imprese, sistema bancario, servizi essenziali e quello invece che agisce a norma di legge ma con le stesse procedure speculative, ricattatorie, intimidatorie, corruttive, in una non temporanea  associazione imprenditoriale che non si accontenta dei brand pandeconomici, mascherine, farmaci, partecipazione alle strutture di cura pubbliche e private, presenza in autorevoli e influenti consigli di amministrazione.

La trattativa Stato- mafia non si interrompe, dopo aver compiute le loro scorrerie nelle aree più “produttive” e pingui del Paese, le cupole vengono invogliate a tornare anche nei luoghi d’origine secondo una tradizione più letteraria che sociale, dove conoscono il territorio, vantano ancora proficui legami di sangue e parentali, soprattutto dove la gente è ancora più ricattabile, intimorita e umiliata di anni di marginalità e discriminazione, le stesse che ora si devono obbligatoriamente estendere a tutta la nazione, per piegarla a divisioni più cruente e far vincere la ferocia di chi tira i fili.