( Giuseppe Di Maio ) – Sono sicuro che è successo durante il lockdown. Il primo autoconfinamento, primo in Europa e in Occidente, quasi una messa collettiva del popolo italiano, ha generato incredibili sussulti di nazionalismo e purtroppo anche una feroce reazione contro le istituzioni. L’originaria fiducia nel prossimo e nel governo presto si tramutarono in diffidenza e ostilità manifesta. Dal chiuso dei loro appartamenti sorsero torme di intellettuali della quarantena che sapevano tutto sui virus, sulle cure, sui sistemi immunitari e sulle epidemie. La sconsiderata infodemia forniva di continuo materiale gli atleti del dissenso che, col furore sacro dei neofiti delle idee politiche, finalmente ne avevano trovato una per affermare un io emarginato. La speranza di uscirne tutti migliori, di trarre vantaggio imperituro dall’inedita esperienza, immediatamente svanì.

Argomenti sparsi e anarchici senz’alcun onere di responsabilità; frasi altisonanti prese a prestito da protagonisti della storia passata; piano piano: l’ansia di libertà dalle mascherine, i ristori insufficienti, la discrezionalità vaccinale, hanno creato la “dittatura sanitaria”. Si, quel progetto generale che è scattato simultaneamente in tutto il pianeta, in paesi allineati e non allineati, dell’est e dell’ovest, in paesi poveri e paesi ricchi, tra paesi che non riescono ad avere relazioni da cent’anni, e che non hanno manco simmetria di ambasciate. L’obiettivo di questa dittatura? Obbligare il singolo a lavarsi le mani, a impedirgli di ballare e prendere lo spritz in compagnia. Si, vabbè, anche per far guadagnare miliardi a Pfizer, e inocularci sistemi di controllo, con la complicità di Bill Gates e del 5G.

Purtroppo la democrazia compiuta è un progetto tra pari. Quelle che la riguardano non sono idee sportive e non appartengono alle tifoserie del pallone. Spesso sono idee pericolose. Perciò, con la confusione generata dalla pandemia, ne hanno approfittato prontamente i disonesti, e si è manifestato il sabotaggio del governo attraverso l’opposizione al piano sanitario. Salvini e Meloni (ma anche tutti gli altri, in Italia e all’estero), si sono accorti della gran massa del dissenso e del guadagno elettorale che si annunciava solleticando i desideri popolari. Il grido di onestà, che atterriva la classe politica italiana, è mutato presto in quello di libertà, che invece la consolida alle spalle di chi è ancora responsabile. La sfera privata combatte quella pubblica immemore che la sua prosperità dipende dalla forza dell’altra. Il bene comune arretra e cede il passo all’interesse privato divenuto nel frattempo perniciosa opinione.

Lo Stato che vuole salvare la vita ai suoi cittadini è considerato oppressivo perché trasgredisce supposte garanzie costituzionali. E allora, come per le regole dell’informazione, sarebbe proprio venuto il tempo di mettere in Costituzione la superiorità dell’interesse sanitario. Poiché la scienza non è democratica, e non è possibile accordarsi tra chi ragiona con evidenze sperimentali e chi pretende verità assolute. Ognuno sarà libero di curarsi il tasso di colesterolo, ma le regole epidemiche devono essere soggette a legislazione penale. Perfino l’attuale organizzazione sanitaria dev’essere regolata per materie, ed è necessario che l’ecologia e la salute degli umani abbiano un governo planetario a cui siano sottoposti, quello nazionale, regionale, e il proprio medico di famiglia. Oppure dovremo rinunciare a governare non solo le epidemie, ma molto altro ancora, rassegnandoci a sottostare definitivamente alla “prevalenza del cretino”.