(Giuseppe Di Maio) – Il sistema giudiziario è uno strumento della lotta di classe, e il ceto dominante se lo modella a misura del proprio interesse. In questo sistema il processo penale è l’istituto che infligge sanzioni quando sono violate le regole. Una classe dominante che si rispetti non lascia al caso la formazione delle leggi, e l’individuazione dei reati; una classe dominante stabilisce una giustizia corporativa che scoraggi e punisca il ceto rivale e gregario, ma rende impotente il sistema a castigare le proprie trasgressioni.

Innanzitutto sceglie quali devono essere i reati da perseguire. Se dessimo uno sguardo alla composizione carceraria capiremmo immediatamente qual è l’dea di ordine sociale dei governanti. E da questa capiremmo che essi perseguono una serie di reati per bloccare il sistema giudiziario e altri per soffocare quello carcerario. I dominanti temono principalmente la violenza che insidia la loro ricchezza, e quella che compromette gli illeciti abituali che creano la loro prosperità. Pertanto, non è ammessa nessuna giustizia fai da te che possa aggirare il filtro di classe già programmato per assegnare loro la ragione. I reati della popolazione carceraria sono dunque questi: 1/3 di reati contro il patrimonio, 1/3 per spaccio e uso di stupefacenti, e poco meno di 1/3 contro la persona. Duecento per reati di corruzione (la Germania, paese notoriamente più virtuoso di noi, ne ha 20 volte di più.) Dei detenuti il 33% è straniero contro una popolazione residente dell’8,7%. Perciò i 50 mila posti della capienza carceraria sono occupati dagli sfrattati dall’ordine sociale e non dai veri nemici della collettività.

Lo stesso vale per i reati perseguiti dal sistema giudiziario. La classe politica riempie i tribunali di liti di quart’ordine e impegna la gran massa dei giudici in processi interminabili per rivalse condominiali, offese reciproche, presunti delitti di genere, scontri dolorosi per diritto di famiglia, o per punire ostinati spinellari. Poi, regala la straordinaria fioritura di garanzie ad uso esclusivo degli avvocati della classe abbiente. Così l’obiettivo è raggiunto: il sistema è impallato. E con un sistema sovraccaricato così, e con i tempi giudiziari così lunghi, essa può finalmente desiderare che si abbia un “giusto processo”. Ovvero, che non ci sia affatto un processo in grado di punire i padroni dello Stato.

Eppure, invece di depenalizzare i reati, invece di semplificare l’oscuro mondo della carta bollata, la politica continua a caricarlo di nuovi reati e nuove garanzie. I primi servono a rendere fragile il sistema, le seconde a costituire il filtro attraverso cui effonde solo la giustizia di classe. Gli ultimi reati verranno dall’approvazione del ddl Zan, le ultime garanzie dalla prescrizione made in Cartabia. Giacché, senza malgiudicare il ddl dell’attuale contesa parlamentare, ci domandiamo dove siano nascoste le tutele giuridiche per la libertà di orientamento sessuale. Il testo Zan è per legulei, come spesso accade alla legislazione italica, e apparentemente non dichiara quanto sovraccaricherà la macchina della giustizia. Se si pensa di aggiungerne di nuovi, perché non si cominciano a depenalizzare tanti vecchi reati minori?

La magistratura che si pasce nella sua incorruttibile terzietà, capace di scioperare solo per questioni stipendiali, non denuncia gli infami propositi della politica. Essa si fa nutrire dal sistema come falsa neutrale, invece è guardiana attiva e interessata dell’ordine padronale.