(di Selvaggia Lucarelli) – Cerco di farmi un’idea definitiva sulla scelta di pubblicare il video della funivia ma alla fine non ho alcuna idea definitiva, perché il giornalismo scende spesso a patti con cose e persone e faccende con cui non dovrebbero esistere né patti né compromessi né concessioni, e invece. So però che non mi è piaciuto vedere quel video (mentre però lo vedevo) e ancora meno leggere le giustificazioni di chi l’ha pubblicato, che ovviamente erano del tenore “abbiamo il dovere di fare informazione” e non più onestamente “abbiamo il dovere di fare click”. Il cinismo, che è parte di questo mestiere, non si spiega, non si giustifica, non va ammantato di buone intenzioni. Va bene così. Lasciato sporco e puzzolente, ben sapendo che quando lo maneggi un po’ di puzza ti rimane comunque addosso.

Ben sapendo che per quasi tutti quel video sarà 20 secondi di pornografia, per chi aveva parenti e amici lassù un ulteriore dolore. Ma questo vale sempre. Vale per gli slip lisi di Yara mostrati in tv, per la voce flebile di Alfredino con i microfoni nel pozzo, per l’uomo che cade a testa in giù dalla torre l’11 settembre e per la cabina che scivola giù verso la valle, prima di precipitare a terra. In fondo, questa del Mottarone, è tutta una storia di freni che stanno lì, ma che se per caso fermano la macchina, si disattivano.

E sì, anche il giornalismo ha il suo forchettone disattivato quando è un bel giorno di sole, hai una lunga fila di lettori e c’è da far girare l’impianto. Nessun giudizio, solo un po’ di onestà.

Nel frattempo l’unica cosa in più che sappiamo della tragedia dopo aver visto il video è quanta paura debbano aver provato quelle persone.